Le radicali modifiche alle nostre abitudini di vita, necessarie a contrastare la diffusione dell’attuale nemico comune, creano una sospensione nel nostro sentirci vivere, una pausa nella continuità del nostro senso di identità personale. Non si discute sulla necessità di questo cambiamento, ma facciamo i conti con l’impatto che ha sulla nostra quotidianità.
Cerchiamo di trovare soluzione allo stupore, all’incertezza e alla paura per la minaccia a cui ci sentiamo sottoposti. Privati dei soliti ritmi frenetici che scandiscono le nostre giornate, vaghiamo per la casa a volte senza meta, sopraffatti dal senso di smarrimento e paura, con l’impressione a volte di dover utilizzare in maniera massimale il tempo che ci viene concesso, altre di subire lo scippo di un tempo che chissà se riusciremo mai a recuperare.
Esiste un modo giusto o più giusto, per vivere questi momenti? In generale il disagio psicologico è più spesso legato alla difficoltà di dare un significato al disagio stesso, all’incapacità di integrarlo all’interno del proprio senso di identità personale, come è comprensibile che sia in questo caso visto che la minaccia è esterna, imprevista e fuori dal nostro campo di controllo.
La psicologia ci insegna che quando non possiamo intervenire sugli eventi esterni possiamo intervenire sui sentimenti interni, provando a modificare il nostro punto di vista sugli eventi. È ormai riconosciuto che, alla fine, soffre meno e ha più probabilità di superare i momenti difficili chi riesce ad attribuire un significato e un senso a quello che sta vivendo e soprattutto chi riesce a proiettarsi in uno scenario futuro (V.Frankl).
Nei momenti difficili, dunque, vince chi si sforza di costruire nonostante tutto, scenari e progetti futuri, e riesca a far diventare costruttive anche le esperienze più brutte.
Proviamo a capire se questo stop può comunque avere un significato all’interno del nostro percorso di vita: se per esempio ci impedisce di realizzare un progetto, per il quale magari ci rendiamo conto di non essere ancora pronti; se ci costringe a rimandare decisioni che comunque non volevamo prendere; se ci permette di riflettere di più su qualcosa di importante da fare; se ci permette di prepararci meglio per un altro esame di vita. Insomma proviamo a far emergere l’aspetto positivo.
Cerchiamo di comprendere anche meglio la paura, sfruttando la funzione protettivache svolge e che ci spinge a evitare comportamenti a rischio per noi e per gli altri. Se è troppo forte e impedisce di realizzare qualsiasi attività forse non è solo una paura attuale ma è possibile che i rischi attuali si siano “alleati” ad altre paure e insicurezze personali o meglio, che le insicurezze personali e le paure che ci portiamo dietro amplifichino la percezione di rischi, contagi, conseguenze… anche al di là del dato reale.
L’antidoto psicologico alla paura è l’umorismo: vedere le cose da una prospettiva buffa è una delle armi più potenti che ha l’essere umano per prendersi gioco dei pericoli, per ridimensionare le paure, per creare distacco tra sé e le minacce, per sentirsi al di sopra dei rischi ed esorcizzare le eventualità. Lo confermano le migliaia di vignette, video, poesie, parodie che vengono prodotte alla velocità della luce, quasi a porsi come vaccino contro la velocità del contagio.
leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano
Grazie dottoressa, farò tesoro della spiegazione e delle Sue parole in questo momento così brutto e pauroso almeno per me.
Cara Barbara grazie a lei per il suo commento. Se ha voglia di raccontare la sua “quarantena”, mi chiami pure.
Un caro saluto.
Mi piace.