da patrizia mattioli | Set 17, 2012 | Adolescenza
I primi rapporti sentimentali – III° Parte
(segue)
La scelta del partner
Nel periodo adolescenziale la scelta viene fatta soprattutto in base all’aspetto esteriore del partner, che non significa necessariamente o soltanto aspetto fisico: tutti o almeno molti sono attratti dal ragazzo leader o dalla ragazza più carina della classe.
Essendo un periodo di grandi insicurezze, proprio perché caratterizzato dalla sperimentazione su tanti campi sociali, la convalida esterna attraverso le doti pubblicamente riconosciute dell’altro può aiutare a compensare queste insicurezze. Il modo in cui ci vedono gli altri (per esempio come una bella coppia) fornisce un potente senso di conferma sul piano personale.
Rapporti di questo tipo tendono a durare poco e ad essere sostituiti, man a mano che prosegue la maturità, da rapporti con persone che meglio si adattano alle proprie caratteristiche psicologiche personali. Nei rapporti confermanti, è importante che l’altro non sia troppo disponibile. Più è difficile da raggiungere, più risulta confermante.
Il criterio di scelta del partner in base alle sue caratteristiche esterne non deve essere considerato come una forma di immaturità, ma come una fase di crescita, possiamo parlare di immaturità soltanto se si utilizza ancora lo stesso come unico criterio in età più adulta.
I rapporti adolescenziali hanno aspetti positivi e negativi. Quando si sceglie un ragazzo o una ragazza in base alle conferme che il rapporto può fornire agli occhi degli altri (cioè se il rapporto permette di sentirsi considerati perché si sta con una persona che viene considerata), ci si sentirà sempre un pò inadeguati. Se si scelgono continuamente ragazzi o ragazze che fanno apparire straordinari prima o poi ci si sentirà annoiati o frustrati. E allora dopo un pò la storia finisce. Finché durano però non c’è niente di male nel lasciare che un rapporto aiuti a sentirsi più a proprio agio con se stessi mettendo in rilievo pregi che magari non si pensava di avere, alimentando così la propria autostima.
Quindi durante l’adolescenza e la prima giovinezza è più facile che i rapporti siano molti e relativamente brevi e che servano soprattutto a conoscere e maturare e a sapere chi siamo noi in relazione agli altri.
La fine del primo rapporto
I primi rapporti finiscono perché uno dei due trova un altro partner che offre conferme maggiori (per esempio è più bello/bella), oppure perché uno dei due arriva prima alla fase successiva e comincia a desiderare un partner con cui ha più affinità. Quindi succede che uno dei due prenda l’iniziativa e l’altro si trovi in condizioni di subirla senza essere ancora pronto per il passo successivo. In questo caso ne risulta una sofferenza e un senso di disconferma (dal momento che si interrompe contro la sua volontà un rapporto confermante). A questo punto può succedere che la persona lasciata cerchi un altro rapporto confermante che compensi lo smacco subìto oppure che si tenga lontano dai rapporti affettivi, almeno per un pò, per paura di soffrire ancora, oppure che stabilisca un rapporto con un ragazzo o una ragazza che non ha nessuna delle caratteristiche del partner ideale, ma con cui instaura un rapporto affettuoso che in questo modo svolge una funzione terapeutica per la ferita subita. Sono rapporti che durano il tempo necessario a curare la sofferenza.
Non si deve dare troppo peso alla fine dei primi rapporti. Il primo rapporto importante è stato e sarà causa di sofferenza per la maggior parte degli adolescenti. Appena finisce sembra che il resto non abbia più importanza che non si riuscirà più a trovare un altro ragazzo o un’altra ragazza così bello o così bravo o di cui si è così innamorati. L’esperienza ci dimostra poi che non è così.
Il primo amore finisce facilmente per i motivi che abbiamo detto prima e perché, essendo l’inizio della sperimentazione, non tiene conto degli elementi che devono essere presenti in un rapporto per farlo durare che sono prevalentemente quelli di avere in comune interessi, valori, obiettivi, aspettative, stimoli, bisogni.
Il rimanere amici allevia spesso la sofferenza per la fine del rapporto. Il potersi frequentare ancora, consente da una parte di lasciare aperta la strada per una eventuale ripresa del rapporto, dall’altra diminuisce il senso di sofferenza in quanto il distacco non è totale e ciò permette di salvaguardare la propria autostima da penosi sentimenti di rifiuto. Restare amici infine aiuta ad articolare meglio il motivo della rottura. In questo periodo è evidentemente possibile restare amici perché non sono ancora entrati in gioco sentimenti troppo profondi.
da patrizia mattioli | Set 17, 2012 | Adolescenza
I primi rapporti sentimentali – II° Parte
(segue)
Il primo approccio
Al primo approccio, in genere ci si aspetta che sia il ragazzo ad avvicinare la ragazza (che aspetta richiamando in qualche modo l’attenzione), soprattutto nei pub o nelle discoteche, nei luoghi cioè più impersonali.
Tradizionalmente i ragazzi ritengono di dover prendere l’iniziativa e preferiscono che la ragazza aspetti, anche se alcuni di loro, quelli che magari hanno un pò più di paura a fare il primo passo, apprezzano che la ragazza collabori attivamente al contatto.
Alcuni ragazzi poi sentono il peso del dover prendere l’iniziativa, perché pensano che è l’unica cosa che ci si aspetta da loro e che devono dimostrare così di essere uomini e reagiscono a queste pressioni assumendo un atteggiamento da duro che qualche volta sfocia in comportamenti antipatici nei confronti delle ragazze. E’ un modo di superare l’imbarazzo e la vergogna.
Alcuni ragazzi pensano che le ragazze dicano sempre no al primo impatto, per principio o per non sbilanciarsi subito, per cui si comportano in maniera aggressiva per raggiungere il proprio scopo pensando di dover dare poco peso al loro consenso. Atteggiamenti di questo tipo nascondono in genere l’incapacità di subire ed elaborare un rifiuto.
LTradizionalmente le ragazze pensano di dover prevalentemente attirare l’attenzione prendendo poche iniziative, cercando di creare le condizioni per far avvicinare i ragazzi. Non sanno ancora bene cosa comporta avere una relazione quindi c’è molta curiosità ma anche molta paura: magari di essere trattate male dal ragazzo, o di entrare in intimità fisica con lui.
Per una ragazza è importante che un ragazzo la scelga, la stimi e la consideri importante.
La paura del rifiuto
Alla prima esperienza in ogni caso, la paura di sbagliare è maggiore e si cerca di avere il maggior numero di informazioni sulla probabilità di successo dell’approccio: si chiede agli amici, si cerca di osservare l’altro per capire se è interessato (mi guarda spesso, si siede spesso vicino a me, parla spesso con me,….). Fare un buco nell’acqua sembra più drammatico (anche se più probabile), la prima volta, quando appunto si cominciano a valutare le proprie capacità di entrare in relazione con l’altro sesso, che non dopo, se e quando l’esperienza e qualche successo hanno rinforzato la propria autostima.
Molti ragazzi e molte ragazze hanno più difficoltà di altri ad avere contatti con l’altro sesso e attribuiscono a qualche proprio difetto fisico il non essere notati dalla persona che interessa. Spesso non sanno come comportarsi per fare in modo che sia più probabile che questo avvenga. Quindi rimangono in disparte per paura che il loro presunto difetto venga notato da tutti.
Più che a difetti personali le difficoltà di contatto sono dovute alla mancanza di esperienza e alla paura di essere respinti, anche questo spesso è legato all’inesperienza: basta anche un velato rifiuto a bloccare i tentativi di approccio anche con altre persone, limitando così ogni possibilità di successo.
Anche un volta che sia stato superato il problema del primo contatto molti ragazzi e molte ragazze si sentono insicuri quando si trovano in compagnia di un coetaneo dell’altro sesso. Pensano di non sapere cosa dire, hanno paura di annoiare, si chiedono se il/la partner lo/la troverà attraente, cosa si aspetta e così via. Così molte delle energie vengono impegnate nel non far vedere questa insicurezza per paura di essere giudicati male, magari presi in giro o derisi. Soprattutto i ragazzi, quando una ragazza è un pò incerta non sanno bene come affrontare la situazione: se lasciar perdere o insistere. Queste incertezze in genere diminuiscono man a mano che si acquisisce maggiore esperienza. Alle prime armi si tende a lasciar perdere interpretando l’incertezza come un rifiuto, andando avanti con le esperienze si può capire che un’incertezza può significare anche altre cose: che magari la ragazza non è pronta per una storia, oppure che non si aspettava l’approccio e ha bisogno di tempo per decidere, ecc…. e allora si può provare ad insistere oppure si può aspettare.
E’ meglio se si può fare esperienza potendo contare sull’appoggio del gruppo di amici, ci si stimola a vicenda, ci si può aiutare per organizzare incontri con la persona che interessa, si può parlare delle proprie esperienze così che ognuno può imparare qualcosa anche dall’esperienza dell’altro e soprattutto ci si può appoggiare così che ad un’esperienza andata male non si dia troppa importanza.
Fino a dove spingersi?
Quando un ragazzo e una ragazza poi cominciano a flirtare si chiedono fino a che punto vogliono spingersi con il partner. I ragazzi desiderano in genere arrivare presto ad avere rapporti sessuali completi, le ragazze invece sono più caute e preferiscono tempi più lunghi.
Spesso i ragazzi hanno la prima esperienza sessuale con una ragazza più grande, che possono anche non rivedere più. Anche le ragazze preferiscono fare la prima esperienza con un ragazzo più grande, ma con il quale magari hanno già un rapporto sentimentale.
I rapporti sentimentali durante l’adolescenza e la prima giovinezza oltre ad essere importanti per l’esperienza che ne deriva, hanno anche il ruolo importante, di fornire conferme al proprio senso di identità personale che si va via, via sempre più strutturando. Anche per questo all’inizio si ha più paura.
Come avviene la scelta del probabile partner? Come avviene che siamo attratti da alcune persone e non da altre?
In generale possiamo dire che nel corso della vita siamo portati a stabilire diversi tipi di rapporti mano a mano che progrediamo verso la maturità. A volte i cambiamenti si possono verificare molto lentamente e quello che ne risulta è a volte una successione di rapporti più o meno simili.
(segue)
da patrizia mattioli | Mar 22, 2012 | Adolescenza
Cibo, Corpo, Luogo tra natura e cultura
Liceo Scientifico Statale Francesco d’Assisi
Sede Succursale – Via Castore Durante, 11 – Roma
Martedì 22 Maggio 2012
Io cercherò di portare l’attenzione sugli aspetti psicologici implicati in questi argomenti.
Dal sondaggio emerge una popolazione fondamentalmente nella norma statistica, io invece vorrei focalizzare l’attenzione su alcuni dati che si pongono ai lati della norma e che rimandano poi a specifici comportamenti.
l primo dato riguarda la distribuzione della popolazione in base a criteri di peso: il 13% della popolazione si distribuisce ai lati della norma, una piccola parte di questi (3%) è tendenzialmente sottopeso, una parte più grande (10%) è tendenzialmente a rischio di sovrappeso o sovrappeso. Quali atteggiamenti alimentari possono sostenere questi dati?
Una prima risposta arriva da un altro dato del sondaggio: il 10% degli intervistati utilizza il cibo e il mangiare come attività consolatoria di fronte a certe emergenze emotive.
In generale il cibo viene usato come attività compensatoria qualche volta, nel 42% dei casi, a conferma del fatto che il cibo rappresenta molto di più del valore nutritivo che apporta: in un ulteriore 10% dei casi però assume caratteristiche più marcate e impulsive, l’atto del mangiare è meno volontario e consapevole, potremmo ipotizzare che è anche meno legato a stimoli di fame e sazietà.
Un’altra risposta utile riguarda il controllo costante del peso e della qualità e quantità di cibo da assumere: più del 30% degli intervistati controlla il suo peso spesso o sempre e il 25% programma con precisione spesso o sempre, quanto e cosa mangia.
Possiamo ragionevolmente considerare che l’utilizzo del cibo come attività compensatoria sia maggiormente appartenente a chi è tendenzialmente in sovrappeso e il controllo dell’assunzione di cibo appartenga maggiormente a chi tende ad essere sottopeso e che ci possa essere una tendenza intermedia che oscilla tra questi due opposti.
Come possiamo spiegare questi atteggiamenti?
Lasciamo però un attimo la domanda in sospeso perché c’è un altro dato su cui voglio focalizzare l’attenzione, riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’alcool: il 35% della popolazione dichiara di bere alcoolici in compagnia e 3/4 di questi dichiarano di aver esagerato più di una volta o spesso.
Perché? Quali possono essere gli aspetti psicologici che sono alla base di certi comportamenti alimentari (di maggiore o minore controllo) e di certi atteggiamenti di fronte all’alcool? Hanno qualcosa in comune?
Per affrontare la questione dobbiamo considerare le caratteristiche di chi ha partecipato al sondaggio. Dal momento che la popolazione intervistata appartiene ad una specifica fascia di età, consideriamo gli aspetti caratteristici di questa fase evolutiva adolescenziale..
Il cambiamento che avviene durante lo sviluppo puberale, comporta una revisione totale dell’identità corporea. Il passare piuttosto rapidamente da un corpo infantile ad un corpo adulto genera fisiologicanete estraneità e inadeguatezza, ci si confronta continuamente con gli altri, nessuno è mai soddisfatto del proprio corpo. La maturazione del sistema nervoso consente poi un cambiamento di atteggiamento nei confronti della realtà che viene relativizzata, come anche vengono relativizzate le immagini genitoriali. Sono passaggi inevitabilmente destabilizzanti.
E’ un periodo di generale sensibilità e vulnerabilità in cui il giudizio la considerazione e il riconoscimento da parte degli altri assumono un’importanza particolare e dove l’insicurezza, i sentimenti di inadeguatezza e la vergogna sono all’ordine del giorno.
Durante questo passaggio si inseriscono inevitabilmente importanti eventi di vita che magari risultano difficili da gestire e alcune condotte possono risentirne.
L’inserimento in una nuova scuola, l’esordio sentimentale, la fine di una relazione o di un’amicizia, un insuccesso scolastico, un’atmosfera familiare instabile o conflittuale,…possono fare da stimolo e il cibo può diventare veicolo di gestione di frustrazioni che derivano da altre aree, o diventare mezzo di delimitazione degli spazi reciproci all’interno delle relazioni familiari, a volte può rappresentare l’unico argomento di relazione tra genitore e figlio/a (questo a volte avviene anche per lo studio e l’utilizzo del computer).
Nutrirsi troppo o troppo poco ha poi sul piano corporeo quelle conseguenze che vengono messe in rapporto con la possibilità/impossibilità di entrare in relazione con gli altri: amici, partner, con un’inversione totale dei rapporti di causa-effetto: sono sovrappeso o non abbastanza magro per propormi agli altri, mi sento inadeguato.
I sentimenti di inadeguatezza vengono attribuiti all’immagine corporea, piuttosto che al delicato momento evolutivo o a certe insicurezze personali.
In altri casi forse il problema è spostato poco più avanti, non è l’immagine corporea a frenare, ma le proprie competenze relazionali. L’individuo ha l’impressione di non sapersi muovere in mezzo agli altri, di non conoscere le regole che sono alla base degli scambi sociali e che queste non si possano apprendere. Allora ci si deve aiutare con qualcosa avendo il senso di potersi proporre solo se si soddisfano determinati standard di prestazione.
Abbiamo detto che il sondaggio rileva che soprattutto in compagnia si tende a bere alcoolici e ad eccedere, è un dato che sicuramente definisce l’alcool come importante fattore di condivisione, ma anche come importante strumento di gestione della fatica dell’impegno sociale.
L’alterazione nel comportamento alimentare e nell’assunzione di alcool, sembrano accomunati da sottostanti sentimenti di inadeguatezza e di non essere all’altezza di.
Secondo Bowlby sono sentimenti abbastanza caratteristici dell’attaccamento ansioso.
Psichiatra e psicoanalista inglese del secolo scorso, J.Bowlby sviluppa una teoria dell’attaccamento a partire dagli anni Quaranta.
Secondo la sua teoria, ogni individuo sviluppa legami di attaccamento con le figure familiari di riferimento, di solito ma non necessariamente con la madre. Il comportamento di attaccamento ha lo scopo di ottenere e mantenere la vicinanza di una figura rassicurante e protettiva ogni volta che ci si senta vulnerabili o minacciati nella propria incolumità. E’ un comportamento innato che rimane attivo tutta la vita anche se opera con maggiore intensità nei primi anni quando la vulnerabilità ai pericoli ambientali è maggiore.
Ogni individuo sviluppa un suo caratteristico stile di relazione a cui corrispondono interiormente dei modelli operativi interni che sono fondamentalmente mappe su noi stessi, gli altri e la relazione che ci lega.
Relazioni di attaccamento poco sicure e poco accettanti, possono produrre modelli operativi interni inefficaci.
I modelli operativi sviluppati all’interno di specifiche relazioni di attaccamento, vengono poi generalizzati alle altre relazioni, dalle quali ci si aspetta lo stesso trattamento: accettazione se si è sperimentata accettazione, imprevedibilità se si è sperimentata imprevedibilità, insicurezza, rifiuto….
Se non si è potuta costruire un’adeguata rappresentazione di sé, essere all’altezza della situazione, per esempio attraverso una certa immagine corporea, o relazionale, è un tentativo di aderire a quelle che si ritiene possano essere le richieste e le aspettative esterne allo scopo di massimizzare la possibilità di ottenere dagli altri una risposta positiva, accogliente, accettante, e/o di minimizzare la possibilità di una risposta negativa.
Il senso di non riuscire ad aderire a queste aspettative può stimolare forme di evitamento che possono andare dal reale evitamento del confronto sociale (non ci si mette proprio nelle situazioni di esposizione) al rifugio in stati di coscienza alterati (attraverso alcool o sostanze) che consentono di entrare nelle situazioni sociali con minore sofferenza o incertezza. E’ una strategia che risolve il problema contingente, ma non modifica i sentimenti di inadeguatezza e incapacità sociale anzi toglie all’individuo anche quel poco senso di competenza che ha.
Ricapitolando: le condotte alterate nell’assunzione di cibo e alcool tendono ad essere affrontate come problemi in sé e risolti attraverso strategie di controllo e soppreasione, mentre dalla nostra analisi emerge che rappresentano più la messa in scena, di problemi che nascono da un’altra parte e perciò una volta focalizzati vanno inseriti in un contesto più ampio che consideri l’individuo nella sua complessità e In quanto tentativi di soluzione di problemi relazionali, vanno più capiti che controllati o eliminati, ferma restando naturalmente la priorità delle condizioni di salute.
Ogni ’individuo ovviamente deve prendere consapevolezza della propria situazione e fare attenzione ad alcune cose: se si passa troppo tempo a preoccuparsi per il proprio aspetto, o per le proprie competenze e per questo si evitano attività desiderate, se tutte le altre aree tendono a perdere di significato o a risentirne, se si fa spesso ricorso all’alcool per reggere l’impegno sociale, se insomam il tutto interferisce con il raggiungimento degli obiettivi personali allora è bene provare a riflettere e capire dov’è il problema, c’è forse qualcosa che rischia di rimanere indietro.
Parlare e condividere, confrontarsi con altri ritenuti affidabili, ha in genere un effetto positivo, terapeutico: quanto meno offre un’alternativa all’autoreferenzialità e ai meccanismi di autoinganno.