da patrizia mattioli | Apr 1, 2022 | Psicologia
Lo stress è un insieme di reazioni fisiche e psicologiche avverse che si manifestano quando le richieste dell’ambiente non sono proporzionate alle possibilità, o vengono comunque percepite come eccessive, dall’individuo che non è in grado di contenerle.
Molto spesso gli eccessi provengono dall’ambiente lavorativo per i ritmi che impone, per le pressanti richieste e per l’alta competitività a cui sottopone chi lavora. Sono per altro condizioni a cui difficilmente la persona riesce a sottrarsi dal momento che il lavoro copre molte ore della giornata, ed è inevitabilmente parte essenziale della propria identità personale. Il lavoro tende ad avere oggi un ruolo centrale nella vita delle persone, non essendo più visto soltanto come mezzo di mantenimento ma anche di soddisfazione e affermazione personale.
La persona viene fagocitata dal contesto ed entra in uno stato di agitazione generale che permane anche al di fuori dell’orario di lavoro.
Ansia e panico sono accompagnati da sentimenti di insicurezza rispetto alle effettive capacità di farcela.
Situazione altamente stressante è anche quella in cui chi lavora, diventa vittima di isolamento ed esclusione.La persona viene sottoposto a mobbing, cioè a comportamenti che tendono ad emarginare e annullare il ruolo e i rapporti sociali intorno a lui.
Sia esperienze ripetute di emarginazione e isolamento che richieste pressanti e prolungate nel tempo possono dar luogo a quella che chiamiamo “sindrome del burn-out”, una vera e propria forma di esaurimento, caratterizzata da stati di nervosismo, insonnia, caduta dell’umore, senso di fallimento, bassa autostima, chiusura in se stessi, irritabilità….…
che ha la sua massima espressione nel ritiro dalla scena lavorativa
E’ importante Imparare a riconoscere lo stress, prendere consapevolezza del proprio stato emotivo per poter fare un passo indietro quando occorre.
Le reazioni più importanti come il burn out richiedono un intervento psicologico che sostenga la persona nel ritrovare il proprio equilibrio e recuperare il controllo della propria vita
da patrizia mattioli | Dic 12, 2016 | Psicologia
Creatività e psicopatologia
L’arte si colloca per Freud in una regione intermedia tra realtà frustrante e fantasia appagante.
Per Melanie. Klein, allieva di Freud, la produzione artistica è un tentativo di riparazione legato alla fantasia inconscia di aver distrutto l’oggetto buono., per Chasseguet-Smirgel, rappresentante della scuola freudiana francese, l’opera creativa ha la funzione di riparazione del soggetto stesso che crea, per Jung l’opera d’arte non è il risultato di un conflitto o di una malattia ma di una vita psichica indipendente dalla coscienza che, attraverso l’analisi, può rivelare i suoi aspetti simbolici di immagini primordiali.
Un altro filone di studi è quello della psicologia fenomenologico-esistenziale, rappresentata da K.Jaspers.
Anche Jaspers mette l’opera artistica in stretta relazione con i momenti significativi della vita dell’autore, più propriamente della sua vita patologica. L’opera d’arte rappresenta così la prova delle infinite potenzialità umane che di fronte all’alienazione non cede alla sua costrizione ma spazia nei luoghi della creatività. Come la perla è il risultato della malattia della conchiglia, dice Jaspers così l’opera d’arte può dovere a una schizofrenia il motivo della sua nascita, anche se in nessuno dei due casi chi si gode il risultato si preoccupa delle condizioni che lo hanno generato.
A partire dagli anni ‘50 R.Arnheim utilizza i principi della psicologia della Gestalt nello studio della percezione visiva. Per Arnheim l’arte rappresenta l’espressione di un atteggiamento verso la vita, si riproduce e viene fruita perché stimola specifici stati d’animo ed emozioni. Egli ritiene che il punto di vista psicoanalitico sia riduttivo perché riduce la forma artistica a semplice involucro dei contenuti inconsci, privilegiando la parte inesprimibile dell’essere umano, Una produzione artistica presenta piuttosto diverse angolature e soprattutto deve essere collocata all’interno del suo momento storico, della cultura che l’ha generata. La lettura psicologica è solo una delle letture possibili.
E’ comunque compito di un’analisi estetica cogliere gli scopi, le speramze, gli obiettivi dell’artista che offre un’opera al pubblico, Ogni artista racconta una storia che presuppone la genialità che lo contraddistingue dagli altri. Attinge a contenuti personali autobiografici, dilatando le proprie esperienze, evidenziando la presenza di una conflittualità interiore, di sentimenti di onnipotenza, a volte di caratteristiche borderline di personalità. Lo psicologo estetico deve dare un significato a questi elementi, chiedersi che rapporto c’è tra produzione artistica e psicopatologia, che ruolo ha la sofferenza, fisica o psichica, nell’espressione artistica.
L’idea di un legame tra creatività e psicopatologia risale all’antica Grecia, ma è al secolo scorso che risalgono studi sistematici che rilevano una notevole incidenza di malattie mentali tra pittori poeti e musicisti, indubbiamente superiore rispetto alla popolazione generale. Certe opere lo dimostrano chiaramente: guardando i volti grotteschi di Munch, non si ha difficoltà a percepirli come la materializzazione di spaventosi mostri inconsci.
L’arte consente di rappresentare il dolore, in modo istintivo, immediato, senza parole. L’incapacità di vivere la propria sofferenza si esprime nella capacità di costruire un’opera d’arte.
L’incapacità di percepire una continuità nel proprio senso di identità personale si esprime nel momento dell’atto creativo che ne rappresenta un tentativo di soluzione e l’opera d’arte un ponte tra elementi frammentari del sé
Ogni produzione artistica rappresenta allora la possibilità di una narrazione in cui l’artista esprime, rappresenta e risolve la sua sofferenza di vivere
Il linguaggio artistico preferisce alcuni contenuti piuttosto che altri, crea allegorie, utilizza simboli per il suo messaggio. È in grado di stimolare riflessioni, suggestioni, emozioni. Il desiderio di esprimere, descrivere e comunicare a volte è subordinato al desiderio di generare un’esperienza estetica nell’osservatore.. Più è complessa l’opera, più è difficile decifrare il messaggio, maggiore sarà la sua portata estetica.
Meccanismo centrale dell’interesse e della soddisfazione estetica sembra essere rappresentato dall’ambiguità dell’opera d’arte, ambiguità che evidentemente consente all’osservatore di attribuire all’opera stessa elementi che più probabilmente appartengono della propria interiorità. Comprendere un’opera d’arte significa allora coglierla in un significato soggettivo e unico. Sappiamo bene come il concetto stesso di bellezza mostri in tante occasioni la sua relatività e la sua dipendenza da regole psicologiche assolutamente personali.
L’esperienza estetica è un’esperienza difficile da descrivere, di solito si è interessati a viverla più che a comprenderla anche se si è d’accordo nel riconoscere che è un’esperienza caratterizzata da un sentimento specifico di piacere, isolato o commisto ad altre emozioni: l’immagine estetica attrae, polarizza l’attenzione in una sorta di rapimento che sospende il flusso temporale di chi vive l’esperienza estetica..
Come le emozioni, l’esperienza estetica ha una sua ciclicità: ha un’attivazione, raggiunge l’acme, arriva alla saturazione e si estingue.
Abbiamo parlato della relazione fra oggetto estetico e contenuti interiori dell’autore. Lo stesso si può dire per l’osservatore che entra in una forma di identificazione con l’opera d’arte e il mondo interno di chi l’ha prodotta. Le variabili personali anche qui sono importanti: a seconda delle proprie caratteristiche interiori, si è attivati da certe forme artistiche piuttosto che altre. Aspetti culturali e sociali concorrono a costruire i gusti artistici di un individuo. Anche l’età ha il suo peso: una giovane età sembra più attratta dall’aspetto esteriore di un’opera, mentre la maturità sembra più propensa a penetrare le ragioni e a cogliere le ripercussioni affettivo/emotive di un evento.
Artista e fruitore sono legati da una reciprocità: l’autore attraverso la sua opera crea le condizioni per l’attivazione di una serie di processi cognitivi, emotivi e motori in un fruitore che non subisce passivamente, ma seleziona attivamente gli stimoli, coerentemente con le proprie caratteristiche personalii. [L’idea della mente come elaboratore attivo, che filtra le informazioni esterne, nasce dalla psicologia cognitivista che, negli anni ‘50, focalizza l’attenzione sui processi della mente e i suoi meccanismi: percezione, attenzione, emozioni, linguaggio, l’apprendimento, memoria].
Autore, opera, fruitore, sono tre facce di una stessa realtà, costruiscono insieme il processo artistico che a sua volta consolida il forte legame che c’è tra loro.
da patrizia mattioli | Dic 8, 2016 | Emozioni, Psicologia
Cosa lega un autore a chi guarda la sua opera?
L’esperienza estetica è il momento di incontro di un autore e un fruitore. La psicologia estetica è volta all’analisi di questo incontro, alla comprensione e spiegazione degli aspetti della creazione artistica e dell’apprezzamento estetico. Cosa motiva un artista a creare? quali processi psichici sono implicati nella creazione artistica? cosa spinge una persona verso l’arte? quali meccanismi vengono attivati nella percezione artistica?
L’interesse della psicologia estetica è rivolto alle arti visive, e a tutto ciò che nasce con l’intenzione di stimolare un’esperienza estetica: la musica, la letteratura, ecc…. artisti, musicisti, poeti, costruiscono le loro opere seguendo percorsi meticolosi, a partire da un tema preparano, elaborano, concludono mentre i fruitori, cercano, osservano, analizzano, sentono.
La psicologia scientifica ha sempre studiato a fondo i prodotti dell’arte e dell’estetica, per arrivare a conoscere i meccanismi percettivi e visivi, i processi cognitivi, la fantasia ,l’immaginazione, la personalità dell’artista con la sua storia di vita, così come le vicende e le caratteristiche di chi ne fruisce.
L’artista avrebbe prodotto la stessa opera se avesse avuto una vita diversa? Il fruitore avrebbe apprezzato lo stesso dipinto o brano, o monumento, se avesse avuto esprienze diverse?
L’estetica sperimentale è stata forse la prima forma di studio all’interno della psicologia, nuova disciplina scientifica che si andava affermando.
Nel 1860 Gustav Theodor Fechner pubblica i suoi Elementi di psicofisica, è lo studio sperimentale del rapporto che intercorre tra stimoli fisici e relative esperienze psicologiche, pochi anni dopo, nel 1876 raccoglie le sue ricerche nel campo dell’arte nell’opera Avviamento all’estetica, poco prima che Wundt (1879) fondasse il primo laboratorio di psicologia sperimentale,.
Sono poste le basi metodologiche e teoriche dell’estetica sperimentale, la psicologia sperimentale applicata al prodotto artistico. Si studiano le reazioni di piacere/dispiacere di fronte allo stimolo estetico, e la preferenza per stimoli di carattere estetico.
La teoria psicoanalitica promuove qualche anno più tardi, siamo all’inizio del ‘900, nuovi e importanti sviluppi nel settore degli studi dell’arte focalizzati su un ipotizzato legame esistente tra impulsi creativi e motivazioni profonde, con l’obiettivo di comprendere gli elementi irrazionali e intuitivi insiti nelle produzioni artistiche, fino a quel momento valutate soltanto per il contenuto apparente
.Nella sua analisi delll’opera d’arte Freud si muove prevalentemente in due direzioni: una volta a comprendere l’opera e decifrarne il messaggio, l’altra volta a comprendere il rapporto dell’opera con la vita dell’artista che l’ha prodotta, con particolare attenzione al periodo dell’infanzia. E’ nella prima direzione che si collocano i suoi saggi sulla Gradiva di Jensen e sul Mosè di Michelangelo, mentre nella seconda il saggio su Leonardo, dove prova a superare la barriera tra normale e patologico.
Per Freud l’arte, come il sogno è una forma di appagamento sostitutivo:: l’artista ha interrotto il rapporto con la realtà e attraverso le sue opere artistiche cerca di ricostruire questo rapporto, grazie alla fantasia può realizzare i suoi desideri più nascosti, le opere sono elementi tangibili del suo recupero.
L’arte si colloca per Freud in una regione intermedia tra realtà frustrante e fantasia appagante.
Per Melanie. Klein, allieva di Freud, la produzione artistica è un tentativo di riparazione legato alla fantasia inconscia di aver distrutto l’oggetto buono., per Chasseguet-Smirgel, rappresentante della scuola freudiana francese, l’opera creativa ha la funzione di riparazione del soggetto stesso che crea, per Jung l’opera d’arte non è il risultato di un conflitto o di una malattia ma di una vita psichica indipendente dalla coscienza che, attraverso l’analisi, può rivelare i suoi aspetti simbolici di immagini primordiali
(Segue)
da patrizia mattioli | Feb 7, 2014 | Psicologia, Relazioni
In un precedente post ho parlato di un caso di stalking che inizia quando ad una richiesta di vicinanza non corrisponde una risposta chiara
In relazioni già definite di amicizia o sentimentali, spesso lo stalking inizia nel momento in cui la vittima designata decide di allontanarsi o chiudere la relazione. Magari è una decisione a cui non si arriva in modo condiviso e il futuro stalker non riesce a colmare questo divario. Il tutto avviene a volte all’interno di un rapporto che inizialmente sembrava diverso: la vicinanza di quello che poi diventerà uno/a stalker, risultava inizialmente protettiva
La letteratura sull’argomento descrive alcuni profili del molestatore e della vittima. Sembra che alcuni molestatori siano persone fragili, che hanno sempre bisogno di una persona al fianco per sostenersi e colgono i segnali di allontanamento o di rifiuto del/della partner come un pericolo di annientamento di sé e di catastrofe emotiva.
I comportamenti persecutori e intimidatrori che vengono messi in atto sono volti proprio ad evitare questo rischio. Sembra che nel 70% dei casi sia stato subiìto un lutto, un abbandono o una separazione significativa non elaborata.
Altri stalker sembrano più mossi dal desiderio di vendetta per quello che considerano un torto subito, paradossalmente si percepiscono come la sola e vera vittima per essere stati rifiutati, derisi, maltrattati o umiliati.
Ciò che accomuna gli stalker è l’intolleranza al rifiuto e l’incompetenza relazionale.
Chi subisce molestie spesso è una persona sensibile, poco capace di difendersi, di reagire adeguatamente alle provocazioni, di usare forme affermative di aggressività. Spesso c’è un’incapacità a riconoscere i segnali di rabbia nella persona che li stà aggredendo non comprendendo così la situazione di pericolo e non mettendo in atto comportamenti adeguati di difesa come l’evitamento o la fuga. A volte “la vittima” presenta caratteristiche fisiche e psicologiche che lo/la rendono più incline alla vittimizzazione. La vulnerabilità personale è spesso accompagnata da uno scarso sostegno da parte delle persone vicine, se ce ne sono, così che la vittima si trova spesso isolata di fronte ai maltrattamenti, di cui ha paura di riferire, spesso per paura delle rappresaglie, a volte anche per proteggere l’immagine di chi la maltratta.
Molte persone vittime di molestie si sentono in colpa per la condizione alla quale sono costrette: ritengono che le molestie siano causate da loro atteggiamenti o comportamenti che hanno scatenato la reazione dello stalker una donna può arrivare a pensare di essere ossessionata dal suo vicino di casa perché non è stata gentile con lui o al contrario perché gli ha mandato segnali ambigui.
Questa analisi ribadisce la necessità di affrontare il fenomeno dello stalking attraverso interventi che vanno in due direzioni: da una parte quello che prevede l’inserimento dello stalker in un programma di prevenzione e risocializzazione, fondamentale per la presa di consapevolezza e il recupero anche per lui del suo progetto di vita, dall’altra intervenire sulla parte debole del fenomeno, la vittima, sostenendola, permettendogli di rinforzarsi e di non sentirsi sola di fronte alle molestie, aiutandola a costruire gli strumenti per tenere testa l’altro, a costruire una modalità comunicativa univoca e assertiva che generalmente restringe fisiologicamente il raggio di azione e le potenzialità di chi molesta.
da patrizia mattioli | Mag 20, 2013 | Psicologia, Relazioni
comunicascuola.it
La comunicazione patologica
Abbiamo visto (Le Regole della Comunicazione) che gli studiosi del Mental Research Institute di Palo Alto hanno individuato alcune proprietà della comunicazione. Queste proprietà agiscono indipendentemente dalla nostra consapevolezza. Se vengono rispettate danno luogo ad una comunicazione efficace al contrario la comunicazione risulta disturbata quando cerchiamo di evaderle. Vediamo come
Impossibilità di non-comunicare
Ogni volta che vogliamo evitare di impegnarci in una comunicazione, noi cercherermo di mettere in atto tentativi di non-comunicazione.
Mettiamo il caso di trovarci nella sala d’aspetto del dentista con un estraneo che per passare il tempo dell’attesa vuole parlare con noi mentre noi non ne abbiamo nessuna voglia. Non possiamo andarcene e non possiamo non-comunicare. Vediamo cosa possiamo fare:
– possiamo rifiutare la comunicazione facendo capire al nostro interlocutore che non vogliamo parlare con lui. Questo atteggiamento però potrebbe essere considerato maleducato e oltre a farci trovare in un pesante silenzio, non ci avrà evitato di parlare con quella persona;
– possiamo accettare la comunicazione rassegnandoci a comunicare, sperando che il nostro interlucutore si stanchi presto;
– possiamo squalificare la comunicazione rispondendo in modo vago,contraddicendoci, cambiando argomento, dicendo frasi insensate;
– infine possiamo comunicare attraverso il sintomo facendo finta di non avere capito, di avere sonno, di stare male, qualsiasi cosa che ci aiuti a giustificare la nostra impossibilità di comunicare. Quello che trasmettiamo in questo caso in effetti è: “mi piacerebbe parlare con lei ma non posso”. Anche il sintomo è una forma di comunicazione, è un messaggio non-verbale.
La struttura di livello della comunicazione (contenuto e relazione)
Molte difficoltà di comunicazione sono dovute alla confusione che facciamo tra aspetti di contenuto e aspetti di relazione di un problema.
Mentre cerchiamo di metterci d’accordo sul piano del contenuto, spesso il problema è sul piano della relazione. Al di là di ogni contenuto, ciò che comunichiamo in ogni messaggio è come ci vediamo noi rispetto alla persona con cui stiamo parlando: per esempio se ci vediamo come amici possiamo avanzare un invito a cui la persona in questione può rispondere in tre modi:
– può confermarlo per esempio acccettando l’invito;
– può rifiutarlo per esempio rifiutando l’invito
– può disconfermarlo per esempio ignorando l’invito. Immaginiamo un mondo in cui possiamo fare ciò che vogliamo ma dove nessuno si accorge di noi, perderemmo il nostro senso di identità molto presto. Che ciascuna parte di una comunicazione si accorga del punto di vista dell’altro è la condizione che consente un’interazione efficace e non disturbata.
La punteggiatura della sequenza di eventi
Se non si risolvono le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze, la comunicazione arriverà ad un punto morto dove ci si lanciano reciprocamente accuse di cattiveria e pazzia.
Differenze nelle punteggiature si hanno normalmente quando nei casi in cui almeno uno dei due comunicanti è all’oscuro di alcuni fatti senza saperlo. Se lasciamo continuamente messaggi in segreteria ad una amica che non ci richiama (mettiamo che lei non sappia di avere la segreteria rotta) potremmo considerare questo come segnale di un suo disinteresse nei nostri confronti, lei d’altra parte potrebbe considerare che noi non teniamo a lei dal momento che non ci facciamo mai sentire. Da qui in poi potremmo entrambe decidere di allontanarci oppure cercare di contattarci per capire cosa è successo.
In questo caso un fatto esterno impedisce di punteggiare correttamente la sequenza di eventi. Più spesso capita di non conoscere le sequenze di pensiero dell’altro, il ragionamento che ha fatto per arrivare a quella conclusione e a quel comportamento che ci è sembrato offensivo.
In linea di massima non è corretto ritenere che un interlocutore abbia il nostro stesso grado di informazioni e che tragga le nostre stesse conclusioni, ma sembra un fatto inevitabile determinato dalla necessità di operare una selezione sui dati sensoriali a cui siamo sottoposti continuamente per impedire che i centri più elevati del cervello vengano sommersi dalle informazioni irrilevanti.
Alla base di molte incomprensioni c’è la convinzione profondamente radicata che esiste soltanto una realtà, la nostra, e che ogni opinione diversa dipenda dall’irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di buona volontà. Si stabiliscono così dei circoli viziosi che non si possono interrompere a meno che la comunicazione stessa non diventa oggetto di comunicazione. Per fare questo però dobbiamo essere fuori dal circolo vizioso.
Nei casi in cui si presentano discrepanze sulla punteggiatura c’è conflitto su ciò che si considera la causa e su ciò che si considera l’effetto in un’interazione.
Questo ci porta al concetto di profezia che si autodetermina. Il dare una cosa per scontata equivale alla “profezia che si autodetermina”.E’ il comportamento che provoca negli altri una reazione alla quale quel dato comportamento sarebbe la risposta adeguata. Se per esempio una persona è convinta di non piacere a nessuno, tenderà a mettere in atto comportamenti sospettosi, difensivi o aggressivi ed è probabile che questi stimolino negli altri reazioni di antipatia che confermeranno la convinzione di fondo di non piacere a nessuno. L’aspetto importante di questa sequenza è che la persona in questione è convinta di reagire ai comportamenti degli altri e non di provocarli.
comunicascuola.it
Errori nella traduzione del materiale analogico in numerico
Tradurre un messagio analogico in numerico può comportare degli errori.
I messaggi analogici, come abbiamo visto, danno indicazioni sulla natura della relazione tra le persone che stanno comunicando, se ci sono controversie tra loro sul significato da dare ad un certo messaggio analogico, viene automaticamene fatta la traduzione numerica che consente di mantenere costante l’idea che preesistente su quella relazione.
Portare un dono è un esempio di comunicazione analogica che può essere interpretata in vario modo da chi lo riceve: come segno di affetto, come tentativo di corruzione, o di ringraziamento o altro. Il mazzo di fiori inaspettato da parte del marito può essere interpretato dalla moglie gesto d’amore o come il tentativo di coprire una colpa inconfessabile.
Abbiamo detto che il linguaggio numerico è particolarmente adatto per comunicare a livello di contenuto e mentre quello analogico da indicazioni a livello di relazione. Nel tradurre il materiale analogico in numerico è necessario tradurre funzioni che mancano al modulo analogico, una di queste è la negazione. E’ semplice infatti trasmettere un messaggio analogico del tipo “ti aggredirò”, ma è estremamente difficile trasmettere “non ti aggredirò”. Quello che si verifica, paradossamente, è che nel tentativo di dimostrare di non avere l’intenzione di fare del male, stimoliamo reazioni di paura e di allontanamento che stimolano in noi disperazione(che rende ulteriormente necessario dimostrare che non vogliamo fare del male): la disperazione di essere respinti e di non poter dimostrare che non abbiamo intenzione di fare del male.
Il modo migliore per segnalare una negazione sembra che sia quello di proporre l’azione che si vuole negare senza poi portarla a termine, come fanno anche gli animali.
Patologie dell’interazione simmetrica e complementare
Nella comunicazione la simmetria e la complementarietà non sono in se stesse “buone” o “cattive”, sono soltanto le due categorie fondamentali in cui si possono dividere gli scambi della comunicazione ed hanno entrambe la stessa importanza. In una relazione sana è necessaria la presenza di entrambe. Nelle relazioni simmetriche è sempre presente il pericolo della competitività. La patologia dell’interazione simmetrica è quindi caratterizzata da uno stato più o meno aperto di guerra. Quando i partner di una relazione simmetrica arrivano alla rottura, è perché uno dei due arriva a rifiutare l’altro. Nelle relazioni complementari la patologia equivale a disconferme del sé dell’altro piuttosto che a rifiuti.
da patrizia mattioli | Mag 13, 2013 | Psicologia
La Comunicazione non Verbale
Che cos’è
Per comunicazione non verbale si intende tutto ciò che in un messaggio non riguarda il significato letterale delle parole: il tono di voce, le espressioni del volto, i gesti, i moviment del corpo. E’ opinione comune che sia un piano di comunicazione universale in grado di superare le barriere linguistiche. Questa modalità comunicativa è in parte innata e in parte acquisita all’interno della cultura di appartenenza. I meccanismi di acquisizione sono simili nelle diverse culture, sono diversi invece i significati che poi vengono attribuiti ai diversi segnali non verbali.
A cosa serve
La comunicazione non verbale svolge importanti funzioni nel comportamento sociale dell’uomo. L’informazione fornita dalle parole viene a volte contraddetta o smentita dai segnali non verbali che la accompagnano e quando la comunicazione verbale non è possibile, le informazioni vengono trasmesse attraverso segnali non verbali.
Quando dobbiamo farci un’idea di una persona per esempio, facciamo riferimento, oltre a quello che dice, ai segnali non verbali che ci manda: il tono di voce, l’espressione del viso, i movimenti, i gesti senza esserne del tutto consapevoli.
Le funzioni della comunicazione non verbale sono molteplici, in parte illustrate nel precedente post (Le regole della comunicazione). Può essere considerata il linguaggio della relazione, attraverso di essa si segnalano il tipo di relazione in corso e i mutamenti qualitativi delle relazioni interpersonali; è il mezzo principale per esprimere e comunicare le emozioni. Il linguaggio del corpo dà indicazioni sull’immagine di sé e del proprio corpo e contribuisce alla presentazione di sé agli altri, fornisce elementi con cui interpretare il significato delle espressioni verbali.
Come si esprime
Per esempio attraverso il tono di voce, l’asspetto esteriore, il movimento degli occhi, del volto, attraverso la distanza, l’orientazione e la posizione del corpo.
Il contatto corporeo è la forma più primitiva di azione sociale. Ci sono molte differenze interculturali rispetto all’uso e al significato del contatto corporeo e al modo in cui viene usato. Nelle culture nordiche se ne fa un uso scarso mentre è usato nella nostra cultura e ancora di più in quelle più meridionali. Il contatto fisico svolge la funzione di segnale di interazione: in genere si tocca il proprio interlocutore quando si saluta o ci si congratula con lui, quando si vuole richiamare l’attenzione o condurre una persona in una certa direzione.
La distanza interpersonale fornisce informazioni sull’intenzione di iniziare, mantenere o interrompere un incontro: il movimento verso una persona può essere un segnale di interazione; allontanarsi dal proprio interlocutore può comunicare l’intenzione di porre fine a quell’incontro.
L’orientazione indica l’angolo in cui le persone si situano nello spazio, l’una rispetto all’altra. Questo segnale sembra indicare i rapporti di collaborazione, intimità o gerarchia che si stabiliscono tra due persone. Due amici intimi o due persone che stanno collaborando, tendono a mettersi fianco a fianco o a 90 gradi. Nei rapporti gerarchici il superiore si colloca di fronte al dipendente.
Anche la postura partecipa al processo di comunicazione. Esistono posture dominanti e posture sottomesse. Il portamento eretto ad esempio, con il capo piegato all’indietro e le mani sui fianchi può comunicare il desiderio di dominare. Il modo di camminare, di stare in piedi, di sedersi può comunicare-rivelare stati d’animo e il rapporto che la persona ha con se stessa, l’immagine di sé.
Il comportamento gestuale è quello più studiato tra i comportamenti non verbali. I gesti delle mani e i cenni del capo sono indubbiamente quelli che hanno un peso maggiore nella comunicazione. I cenni del capo in particolare, sono segnali non verbali in genere molto rapidi e per questo possono sembrare meno importanti, in verità sono più importanti degli altri per il procedere di un’interazione. Un cenno del capo fatto da chi ascolta, è in genere percepito da chi parla come segnale di attenzione o di assenso, ha perciò valore di rinforzo cioè ” ricompensa” il comportamento precedente e lo incoraggia. Interviene anche nel coordinare il discorso tra i due interlocutori: un cenno di assenso invita chi parla a continuare il discorso, più cenni di assenso in successione comunicano a chi parla che chi ascolta vuole prendere la parola.
Lla mimica facciale ha soprattutto tre funzioni: manifestare aspetti caratteristici della personalità dell’individuo, esprimere le emozioni e gli atteggiamenti interpersonali, inviare segnali nell’interazione in corso. Come abbiamo visto, durante un colloquio l’espressione del volto fornisce un commento continuo alla produzione verbale.
Essere consapevoli dei messaggi che mandiamo durante un colloquio, ci può aiutare a mandare messaggi più intenzionali.
I gesti delle mani, soprattutto nella nostra cultura, sono una parte fondamentale della comunicazione. A parte i gesti simbolici come lo scuotere la mano in segno di saluto, o l’atto di indicare, noi utilizziamo tutta una serie di gesti illustratori nel corso della comunicazione verbale proprio per spiegare ciò che stiamo dicendo. Attraverso i gesti della mani mostriamo i nostri stati d’animo più o meno volontariamente: scuotendo un pugno segnaliamo rabbia, facendo movimenti maldestri o incontrollati esprimiamo ansia.
Lo sguardo e i comportamenti visivi sono elementi importanti nelle relazioni interpersonali. Chi ascolta e non guarda dà l’impressione al suo interlocutore di non essere interessato o di rifiutare chi parla; d’altra parte chi guarda troppo intensamente senza parlare, dà l’impressione di essere una persona strana. Il contatto visivo poi, produce un’intimità che è incompatibile con l’inganno. Per questo chi vuole nascondere certi aspetti di sè reagisce con ansia nelle situazioni sociali e dove è probabile venire guardati.
Gli aspetti non verbali del parlato (il tono, il timbro, l’intensità della voce, le pause……), danno indicazioni per la sincronizzazione delle interazioni e per la metacomunicazione sul discorso verbalizzato. Il silenzio durante un’interazione per esempio è una forma non verbale del parlato e può assumere significati diversi: momento di pausa per decidere chi deve ricominciare a parlare, oppure momento di attenzione nei confronti dell’interlocutore o altro.
L’aspetto esteriore infine è l’immagine che abbiamo e che vogliamo dare di noi stessi. Questo giustifica il fatto che, chi più chi meno, impieghiamo tempo, energie e denaro per controllare e migliorare il nostro aspetto. L’aspetto esteriore è molto condizionato dal contesto sociale, un certo trucco, un certo abbigliamento o un certo taglio di capelli risultano infatti importanti a condizione che se ne condivida il significato.