Più che inasprire le pene, serve disinnescare le dipendenze affettive

Più che inasprire le pene, serve disinnescare le dipendenze affettive

Filippo le diceva di sentirsi solo e disperato, di non vedere un futuro senza di lei, incapace evidentemente di affrontare le sue angosce di perdita. Giulia si dispiaceva, forse si sentiva in colpa o cattiva per la rottura e la sofferenza involontariamente inflitta e accettava di rivederlo. Un distacco difficile da realizzare, per due ragazzi cresciuti in una piccola comunità, dove ci si conosce tutti, il gruppo di amici è lo stesso.

L’ultimo incontro le è stato fatale e forse lui aveva in mente una conclusione che non è riuscito a portare a termine.

Una storia già vista. Siamo tutti stanchi di leggere le stesse notizie, di stare con fiato sospeso per il mistero di una storia d’amore ,che misteriosa purtroppo non è. Sapevamo già come andava a finire. Delitti di genere che si susseguono, allontanati gli ultimi ne succedono altri.

I politici propongono interventi mirati ad insegnare l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, per gli studenti e per le famiglie. Sarebbe auspicabile, corsi di educazione al rispetto per l’altro e per se stessi, di educazione al prendersi cura di se. Non certo lezioni di educazione teorica, ma esperienze, dove i bambini, i ragazzi, le famiglie, sperimentano i vissuti che impareranno a riconoscere: come segnali di pericolo esterno (se un partner o una partner diventa maltrattante) e/o segnali di pericolo interno (se salgono specifici stati d’animo). Certo, non può essere un’educazione fatta dagli insegnanti, che peraltro hanno già hanno il loro bel da fare a scuola.

Non serve inasprire le pene per diminuire un fenomeno, tantomeno se riguarda la dinamica di coppia che è nello stesso tempo spazio psicologico di felicità e sofferenza. Non è certo la severità della pena a trattenere un comportamento violento spesso, anche se non sempre istintivo, che esplode in uno specifico momento, ma che è il risultato di un lungo percorso in cui si è caricata una molla poi difficile da fermare. Gli aspetti psicologici, in particolare quelli emotivi, sono quelli sempre lasciati in secondo piano, considerati materiale di scarto del cervello più antico nella nostra storia evolutiva. Più gli “scarti” si reprimono, più si amplificano e premono per venire fuori

Oggi sembra più giusto farsi diagnosi online o farsi fare diagnosi da manuale, piuttosto che farsi aiutare in un percorso di approfondimento e conoscenza interiore, in cui riconoscere e accettare quanto si è governati dalle proprie emozioni, dai propri istinti, soprattutto da quelle/i che rimangono sullo sfondo, e quanto sia funzionale ricostruirne il percorso.

Ho già scritto in altro post che dobbiamo aiutare le potenziali vittime a disinnescare il circuito della dipendenza. Questo non significa che devono assumersi l’ennesima responsabilità ma che possono riprendersi il controllo della propria affettività e della propria vita, perché abdicare a questo controllo significa comunque rimanere nella dipendenza anche verso chi aiuta ad uscirne. Ma dobbiamo aiutare anche i potenziali carnefici a non sottovalutare i propri sentimenti, o i mancati sentimenti, a gestire le proprie angosce in tempo, prima che queste diventino la bussola di comportamenti distruttivi……..

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Al GfVip vedrei bene una seduta di gruppo: con Bellavia e i bulli a confronto guidati da psicologi

Al GfVip vedrei bene una seduta di gruppo: con Bellavia e i bulli a confronto guidati da psicologi

 

Marco Bellavia si è ritirato dal Grande Fratello Vip perché non ce la faceva più a reggere la sofferenza di essere isolato e bullizzato dai compagni, per la sua fragilità emotiva.

Alla domanda del conduttore sul perché del loro atteggiamenti, alcuni inquilini della casa hanno risposto che pensavano che Marco fingesse e che la sofferenza facesse parte del personaggio. Altri si sono giustificati dicendo che non si capiva che soffrisse.
Molti di loro lo hanno evitato nei momenti di maggiore disagio.

Per mantenere il punto sui propri comportamenti ed evitare di mettersi in discussione, si può attribuire alla vittima la colpa delle proprie azioni, arrivando in casi estremi a privarla di qualità umane. La vittima non è più vista come una persona, ma come una minaccia che a quel punto è giusto isolare, maltrattare o addirittura eliminare. E’ quello che accade in guerra o più comunemente nelle relazioni conflittuali dove un partner è maltrattante e giustifica le proprie azioni con il modo di essere dell’altro, con le sue “colpe”.

La produzione del Grande Fratello ha subito espulso quelli che più direttamente hanno infierito contro Marco. La prossima puntata, ironia della sorte, va in onda lunedì 10 ottobre, data proclamata “giornata mondiale della salute mentale”.

Espulsioni e sanzioni certamente non miglioreranno l’immagine di un programma spesso criticato per i suoi contenuti. È possibile poi che la produzione stessa (autori, conduttore, vertici Mediaset), debba accertare le proprie responsabilità sulla violenza privata trasmessa. Molti telespettatori si sono infatti rivolti al Codaconsche ha presentato un esposto sul caso alla Procura della Repubblica.

Al di là di quanto sia giusto che accadano certe cose e che poi vadano in onda, la vicenda ci fa parlare di salute mentale. Qui il problema non è solo di Marco, ma di tutto il gruppo e attraverso il gruppo si può risolvere.

Non facciamo l’errore di credere che gli esseri umani si dividono in sani e malati e che il malato sia quello che dichiara di esserlo. Chi lavora con la sofferenza lo vede tutti i giorni: in una coppia che viene alla consultazione per esempio c’è spesso il partner etichettato come “più emotivo” perché esprime apertamente la sofferenza, ma non è detto che sia quello che soffre di più.

A livello sociale viene più apprezzato chi è “meno emotivo”, che viene in genere considerato più forte, salvo poi stupirsi quando le persone hanno reazioni ‘esplosive” giudicate inaspettate e imprevedibili.

La fragilità che si esprime attraverso le paure e le cadute dell’umore, non è poi così lontana da quella che si manifesta con la freddezza e l’aridità d’animo. Piaccia o meno, sono due facce della stessa medaglia nel senso che entrambe indicano un disequilibrio. Più si è distanti da se stessi e dalle proprie emozioni, più si cerca di allontanare e di allontanarsi da chi la sofferenza mentale la manifesta. Nessuno è mai così sicuro di come è dal punto di vista emotivo affettivo, perciò non è mai così sicuro di “non” avere un disturbo mentale, e chi dichiara di soffrirne rappresenta un pericolo.

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Nelle relazioni il tradimento si costruisce in due

Nelle relazioni il tradimento si costruisce in due

Quando si interrompe una relazione – sentimentale, di amicizia,  professionale, politica – per il tradimento di uno dei due partner, la delusione prevale, insieme a una forte rabbia verso se stessi per non aver saputo prevedere, per essersi fidati. La fiducia in realtà porta sempre con sé il rischio del tradimento. Ci sentiamo traditi proprio in quei rapporti in cui ci affidiamo di più e si può essere traditi solo quando ci si fida e ci si affida veramente, perciò soprattutto da persone affettivamente molto vicine: partner, genitori, amici, fratelli, amanti, soci, non da chiunque.

Più grande è il coinvolgimento emotivo, affettivo e sentimentale, più forte è il sentimento di tradimento nel momento in cui vengono deluse le aspettative e non mantenute le promesse ricevute. Scoprire un tradimento porta necessariamente a ripercorrere tutta la relazione e a darle un significato diverso alla luce del tradimento. Tutti gli eventi sono riletti come indizi non compresi di un inganno preannunciato, prove lampanti a posteriori.

Ma il tradimento non è qualcosa che accade all’improvviso e di solito è solo una parte che si inserisce all’interno di un susseguirsi più ampio di eventi e le cui condizioni vengono costruite nel tempo. Fa male dirlo, ma la costruzione di un tradimento avviene sempre con il sostegno di due parti: due fidanzati, due coniugi, genitore e figlio, fratello e sorella. Una costruzione condivisa volontariamente o meno, consapevolmente o meno.

Senza saperlo si stimola un partner, o un amico, o chiunque altro a tradire: per esempio con un atteggiamento passivo o se ci si affida totalmente all’altro, senza mantenere spazi di autonomia, senza mantenere una propria rete di relazioni. Si creano così, involontariamente, le condizioni favorevoli. Chi è causa del suo mal…

Si collabora attivamente al tradimento anche negandone l’esistenza, ignorandolo più o meno consapevolmente, attraverso varie forme di autoinganno. Nei rapporti sentimentali o nelle amicizie a volte si sceglie di ignorare chiari segnali che l’altro si lascia dietro, proprio nella speranza di essere scoperto.

Essere traditi ha un amaro vantaggio: chi tradisce si trova dalla parte sbagliata della relazione e il tradito automaticamente nel giusto. Quando si valuta un tradimento, infatti, si tende a considerare solo il momento in cui questo avviene e nel cercarne una spiegazione si attribuisce spesso la responsabilità (o meglio la colpa) ad uno solo dei due (in genere al traditore), alla sua disonestà affettiva, al suo approfittare della fragilità del partner, al suo cercare la soluzione fuori dalla relazione. Comunque viene in genere attribuito al gesto di uno solo.

In realtà non è così: come molti studiosi sostengono (James Hillman, Gabriella Turnaturi e altri), al momento del tradimento è chiaro, a chi è tradito e a chi tradisce, che qualcosa di importante è cambiato. Il tradimento, come una specie di rivelazione, mette in scena il cambiamento, soprattutto se si sono persi i contatti con i propri sentimenti. Esso può emergere, come un sintomo, a volte del tutto inaspettato e apparentemente inspiegabile.

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Delusioni d’amore? #VoltaPagina – Capitolo II

Delusioni d’amore? #VoltaPagina – Capitolo II

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Delusioni d’amore? #VoltaPagina – Capitolo II

Le relazioni sentimentali sono una delle aree in cui la probabilità dell’emergenza emotiva è alta. Siamo tutti d’accordo sul fatto che una relazione che si chiude provoca emozioni forti, siamo meno consapevoli del fatto che reazioni emotive intense, positive e negative, accompagnano tutto l’andamento delle relazioni, come diceva J.Bowlby, le più forti emozioni l’essere umano le prova mentre è impegnato nella costruzione, nel mantenimento o nella rottura di un legame affettivo.
Quando le emozioni sono troppo forti e inaspettate, le reazioni più istintive sono l’evitamento e la fuga: che possono essere messi in vario modo.
Può capitare che i fatti accadano all’improvviso e l’individuo non sia in grado di farsene una ragione e collegarli alle vicende precedenti.
E’ il caso per esempio di chi subisce una separazione di coppia che gli risulta particolarmente inaspettata e di cui non ha condiviso con il partner il percorso e non sa come ci siano arrivati.
Gli eventi possono risultare talmente lontani da sé, da far ricorso a scenari coerenti di risoluzione, per esempio maghi cartomanti, veggenti, nel tentativo estremo di recuperare un controllo sulla situazione. Si può sperare di convincere il partner, attraverso soluzioni magiche, a tornare a sua insaputa, o si possono anche solo avere informazioni su di lui/lei o farsi leggere un futuro che risulta quanto mai imprevedibile.
E’ la prova della predisposizione umana al pensiero magico, quella forma di pensiero che caratterizza il funzionamento cognitivo infantile e che non viene mai abbandonato del tutto ma sopravvive nel pensiero adulto in forme e intensità diverse – certe forme di superstizione che ognuno di noi ha lo confermano – e viene fuori quando si ha particolare difficoltà a trovare nessi di causa-effetto negli avvenimenti.
C’è chi sostiene che una certa dose di pensiero magico sia necessaria per apprezzare i piaceri della vita, che il pensiero totalmente magico e quello per niente magico siano ugualmente dannosi per il benessere della persona.

Non conosco coppie che si sono riconciliate grazie alla magia, forse ce ne sono .In ogni caso dal punto di vista psicologico dobbiamo considerare che sicuramente il ricorso alla magia e al pensiero magico non aiutano la persona a costruire un significato per le cose che gli sono successe, né che ruolo può avere avuto al riguardo. Riconoscere di aver avuto un ruolo è l’unico modo per recuperare una forma di controllo e di prevedibilità sulle cose.
Inoltre, al di là del fatto che la magia possa aiutare o meno, le soluzioni esterne alla persona non favoriscono la crescita personale, ne l’acquisizione di strumenti efficaci per il mantenimento di una adeguata reciprocità nella ripristinata (?) coppia. #VoltaPagina

La Nascita dell’Amore

La Nascita dell’Amore

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La nascita dell’amore

Se consideriamo che tutti i disturbi psicopatologici appartengono alla sfera affettiva, possiamo capire perché il tema dell’amore è fondamentale nella comprensione dell’esperienza umana.

Generalmente pensiamo all’amore come a un profondo sentimento di affetto, simpatia, passione verso una persona, che si manifesta come desiderio di ricercare la sua presenza e di procurarle del bene.
Se molte teorie sull’amore tendono ad identificarlo come un sentimento particolare altre, per esempio quella di Vittorio Guidano (1999), ritengono che l’amore non sia un sentimento particolare o una particolare qualità emozionale, ma lo spazio emotivo che si crea tra due persone, lo spazio comune all’interno del quale gli individui si muovono in modo coordinato e consensuale, la distanza compresa tra l’affetto e la separazione, l’attaccamento e il distacco, cioè tutto il mondo dei sentimenti umani.
Visto in questo modo, l’amore è l’organizzatore delle emozioni umane.

Ma come nasce questo spazio comune?
Facciamo riferimento al pensiero di Vittorio Guidano.
L’uomo è un primate e come tale, abita in una realtà intersoggettiva; questo significa che la sua conoscenza è interattiva; così la conoscenza che l’individuo ha di sé avviene in relazione alla conoscenza che egli ha degli altri e la conoscenza che ha degli altri, a sua volta, è sempre una conoscenza di se stesso.
Il fissare le premesse epistemologiche evolutive in termini di intersoggettività permette, secondo V.Guidano, di focalizzare con precisione l’affettività nella vita degli esseri umani e quanto di questa va insieme all’amore.

Nella visione di Guidano, l’amore non è diverso dalla conoscenza. La conoscenza, secondo lui, definisce lo spazio umano dove la realtà equivale all’esperienza che è ordinabile; lo spazio intersoggettivo tra attaccamento e distacco definisce lo spazio in cui la realtà è vissuta, definisce l’esistenza e i due aspetti sono come due facce della stessa medaglia. Da una parte c’è la realtà intesa come il personale modo di percepire e concepire il mondo; ed è la conoscenza in generale. Dall’altra ci sono le emozioni. L’ordine che si produce con le emozioni, che è parallelo a quello della conoscenza, viene ad essere l’amore. l’amore è l’ordine organizzato della sfera emozionale umana; così come la realtà, la conoscenza è quell’ordine organizzato del conoscere umano

Secondo Guidano, l’affettività nell’uomo evolve con l’emergere del mentalismo.
La prima conseguenza del mentalismo è la formazione della coscienza. La coscienza nasce come capacità di reagire alla realtà. Storicamente, dice Guidano, la coscienza nasce come coscienza di separazione. L’inizio della coscienza umana avviene intorno al momento di invenzione dell’agricoltura, quando cominciano ad avvenire mutamenti importanti nella comunità umana. Prima di allora gli uomini vivevano come gli altri animali in continuo movimento sulla terra alla ricerca di cibo, non erano perciò molto diversi da loro. Con l’agricoltura si fa strada una percezione diversa della realtà, l’agricoltore si stabilizza in un luogo e ha un rapporto più distaccato con questa realtà. L’uomo passa dall’essere “parte della natura”, ad “essere spettatore” potendola anticipare. Prima la realtà era vissuta nell’immediatezza, l’agricoltore invece vive con la coscienza che l’immediatezza è solo un aspetto della realtà dato che è in grado di operare in funzione di un risultato che sarà visibile solo mesi più tardi.
La capacità di agire sulla realtà avviene secondo Guidano, nella sfera affettiva mediante la coscienza di separazione, la coscienza cioè di essere diversi da quella realtà, di essere diversi dall’altro. La coscienza di separazione avrebbe fatto emergere il bisogno di intersoggettività, di supporto emozionale, di maggiore consistenza affettiva, per rendere tollerabile questo senso di separazione.
Con il sorgere dell’agricoltura si è incrementato il pensiero autoriflessivo, autoreferenziale, che consente la coscienza di essere coscienti, che aumenta il senso di separazione e divisione e con questi il sentimento di solitudine esistenziale.

Un cambiamento importante, avviene poi quando la femmina umana passa dalla situazione estrale a quella mestruale, cambiamento che la porta ad essere ricettiva sessualmente tutto l’anno, fatto questo che scollega la sessualità dalla riproduzione. Nell’essere umano la funzione della sessualità diventa allora più quella di mantenere le relazioni affettive. Questa per Vittorio Guidano è stata la grande rivoluzione cognitiva.

L’amore può assumere tante forme, tutte in relazione all’idea che si ha dell’altro: oggetto di cui disporre a proprio piacimento o persona con sue intenzioni e pensieri.
Contrariamente a quello che si crede, molta sofferenza non è tanto legata alla carenza d’amore, che comunque ha la sua rilevanza, quanto alla qualità dell’amore: a quanto l’amore è rivolto ad un soggetto considerato come persona o come oggetto.
L’amore, quando riferito all’altro come persona, lo stimola e gli permette di svilupparsi, quando riferito all’altro come oggetto lo schiaccia e gli impedisce di crescere. Questo vale per esempio per i genitori, nelle tappe di crescita dei figli, e per i partner nella vita affettiva adulta: un genitore iperprotettivo rischia di danneggiare piuttosto che proteggere e un partner onnipresente rischia di soffocare piuttosto che dimostrare affetto.

Abbiamo detto che le sofferenze psichiche sono soprattutto di natura affettiva e emergono mentre l’individuo è impegnato a costruire, mantenere o rompere relazioni affettive significative, anzi si può affermare che non ci sono emozioni più intense nella vita di un essere umano di quelle che si producono nel corso della formazione, del mantenimento e della rottura di tali relazioni.

L’intimità affettiva che si costruisce tra due persone nell’amore, cioè nel momento di massima corrispondenza reciproca, può offrire una sensazione di completezza e pienezza. Può diventare però anche un’esperienza dolorosa perché è un momento di grande vulnerabilità dove anche la minima diminuzione della corrispondenza può essere percepita come un grande dolore e una grande perdita. Per questo di fronte all’intimità non è mai completamente chiaro se l’obiettivo è quello di ricercarla o di evitarla.

Se consideriamo l’amore, come uno spazio condiviso, in cui confermarsi, comprendersi, accettarsi, riconoscersi, è più facile capire il rapporto che si crea tra due partner, la conflittualità più o meno aperta che si manifesta nei momenti di crisi, quanto una crisi può mantenersi nel tempo e diventare un modo stabile di stare insieme e quanto può essere lungo e faticoso un processo di distacco.

Pubblicato su Animamediatica

Stalking: vittima e stalker due profili complementari

spyIn un precedente post ho parlato di un caso di stalking che inizia quando ad una richiesta di vicinanza non corrisponde una risposta chiara

In relazioni già definite di amicizia o sentimentali, spesso lo stalking inizia nel momento in cui la vittima designata decide di allontanarsi o chiudere la relazione. Magari è una decisione a cui non si arriva in modo condiviso e il futuro stalker non riesce a colmare questo divario. Il tutto avviene a volte all’interno di un rapporto che inizialmente sembrava diverso: la vicinanza di quello che poi diventerà uno/a stalker, risultava inizialmente protettiva

La letteratura sull’argomento descrive alcuni profili del molestatore e della vittima. Sembra che alcuni molestatori siano persone fragili, che hanno sempre bisogno di una persona al fianco per sostenersi e colgono i segnali di allontanamento o di rifiuto del/della partner come un pericolo di annientamento di sé e di catastrofe emotiva.

I comportamenti persecutori e intimidatrori che vengono messi in atto sono volti proprio ad evitare questo rischio. Sembra che nel 70% dei casi sia stato subiìto un lutto, un abbandono o una separazione significativa non elaborata.

Altri stalker sembrano più mossi dal desiderio di vendetta per quello che considerano un torto subito, paradossalmente si percepiscono come la sola e vera vittima per essere stati rifiutati, derisi, maltrattati o umiliati.

Ciò che accomuna gli stalker è l’intolleranza al rifiuto e l’incompetenza relazionale.Occhio

Chi subisce molestie spesso è una persona sensibile, poco capace di difendersi, di reagire adeguatamente alle provocazioni, di usare forme affermative di aggressività. Spesso c’è un’incapacità a riconoscere i segnali di rabbia nella persona che li stà aggredendo non comprendendo così la situazione di pericolo e non mettendo in atto comportamenti adeguati di difesa come l’evitamento o la fuga. A volte “la vittima” presenta caratteristiche fisiche e psicologiche che lo/la rendono più incline alla vittimizzazione. La vulnerabilità personale è spesso accompagnata da uno scarso sostegno da parte delle persone vicine, se ce ne sono, così che la vittima si trova spesso isolata di fronte ai maltrattamenti, di cui ha paura di riferire, spesso per paura delle rappresaglie, a volte anche per proteggere l’immagine di chi la maltratta.

Molte persone vittime di molestie si sentono in colpa per la condizione alla quale sono costrette: ritengono che le molestie siano causate da loro atteggiamenti o comportamenti che hanno scatenato la reazione dello stalker una donna può arrivare a pensare di essere ossessionata dal suo vicino di casa perché non è stata gentile con lui o al contrario perché gli ha mandato segnali ambigui.

Questa analisi ribadisce la necessità di affrontare il fenomeno dello stalking attraverso interventi che vanno in due direzioni: da una parte quello che prevede l’inserimento dello stalker in un programma di prevenzione e risocializzazione, fondamentale per la presa di consapevolezza e il recupero anche per lui del suo progetto di vita, dall’altra intervenire sulla parte debole del fenomeno, la vittima, sostenendola, permettendogli di rinforzarsi e di non sentirsi sola di fronte alle molestie, aiutandola a costruire gli strumenti per tenere testa l’altro, a costruire una modalità comunicativa univoca e assertiva che generalmente restringe fisiologicamente il raggio di azione e le potenzialità di chi molesta.