Studente suicida a Senigallia, parlare solo di bullismo deresponsabilizza chi doveva vigilare

Studente suicida a Senigallia, parlare solo di bullismo deresponsabilizza chi doveva vigilare

Della storia di Leonardo, il ragazzo quindicenne di Senigallia, e della sua decisione di togliersi la vita, sappiamo poco. Viene dato molto peso al bullismo subìto nella nuova scuola dall’inizio dell’anno scolastico, come se fosse l’unico responsabile del suo gesto estremo.

Non voglio dire che non sia importante. In adolescenza il bisogno di appartenenza insieme al riconoscimento e al rispetto da parte del gruppo dei coetanei è centrale per consolidare un’immagine di sé positiva e una buona autostima. Il venir meno di considerazione e rispetto può essere molto doloroso, ma considerare il bullismo come unico responsabile, sembra una lettura riduttiva per un fatto così importante, una relazione di causa-effetto quasi deresponsabilizzante verso tutte le istituzioni implicate nel percorso educativo di uno studente. Il suo gesto è l’atto finale di un dramma iniziato molto tempo prima.

M In un fatto così grave non possiamo pensare a un unico fattore, ma a una condizione di fragilità costruita nel tempo, nel corso della sua breve vita nei diversi contesti: a casa, a scuola, nelle relazioni interpersonali, tenendo conto delle predisposizioni personali.

Quello che sappiamo dai giornali è che qui ci sono genitori separati, uno dei due lontani, insegnanti distratti e poco empatici, compagni fragili che mal sopportano la diversità e la fragilità di un loro pari, una pistola fin troppo facile da sottrarre. E che non è stato dato il giusto peso alla volontà di Leonardo di lasciare la scuola.

Quando un bambino, un fanciullo o un adolescente manifesta l’intenzione di non andare più a scuola, non lo fa perché è pigro, svogliato o chissà cosa, ma perché ha un problema. Un problema che può essere legato a come si sente, a come sta a scuola, alla difficoltà ad allontanarsi da casa, a una difficoltà di apprendimento… Probabilmente per Leonardo erano in gioco tutti i fattori. L’impressione è che lui descritto come silenzioso e introverso, avesse difficoltà a chiedere aiuto e il senso di non avere nessuno su cui contare, che fosse in grado di ascoltare, comprendere e accogliere il suo disagio.

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Punizioni a scuola, il film ‘La sala professori’ spiega bene quanto sia importante saperle gestire

Punizioni a scuola, il film ‘La sala professori’ spiega bene quanto sia importante saperle gestire

Nell’ultimo post sottolineavo la mancanza di storia e contesto con cui vengono fornite alcune notizie di conflitti scolastici tra studenti insegnanti e genitori.
La sala professori rende abbastanza l’idea di quello che intendevo.

Il film parla di dinamiche scolastiche e del modo caratteristico dei nostri tempi in cui queste si realizzano. In una scuola media tedesca, ma potrebbe benissimo essere italiana, che si vanta dell’applicazione della tolleranza zero ai casi controversi, gli insegnanti e la dirigente si muovono in maniera incoerente al modello disciplinareche vorrebbero insegnare, o meglio, imporre superando il limite del rispetto dell’altro, lo studente appunto, stimolando reazioni a catena dove i tentativi maldestri di recuperare il controllo della situazione peggiorano ulteriormente le cose. Durante un piccolo consiglio disciplinare convocato per fare chiarezza su piccoli furti avvenuti a scuola, viene fatta pressione sui rappresentanti di classe per estorcere “la verità”.

Il film descrive molto bene come si costruisce un conflitto e come questo possa facilmente essere attribuito all’anello più debole: lo studente, meglio se straniero, che in quanto giovane, e di altra cultura, può essere più facilmente accusato, manipolato, ricattato, colpevolizzato, per eventi di cui non ha alcuna responsabilità. Se poi questo profilo non c’è va bene anche qualcun altro.

La prepotenza ha la meglio sull’evidenza e a farne le spese sono i ragazzi che alla fine reagiscono istintivamente, come impone il momento evolutivo.
La sala professori mette bene in scena come i conflitti abbiano una storia che può essere raccontata a partire da un preciso momento o da quello successivo e in base a questo spiegata da tanti punti di vista. Ognuno può costruirsi la relazione di causa/effetto che preferisce – costruendo una diversa “punteggiatura della sequenza di eventi”, come direbbe lo psicologo Paul Watzlawich – che spesso diventa verità assoluta, senza arrivare mai veramente a capire che cosa è successo, con la convinzione che il mondo sia o bianco o nero e basti semplicemente distinguere tra vittime e carnefici e dare al colpevole designato una punizione esemplare, per risolvere e chiudere le questioni.

Un modo così netto mal si adatta alla scuola che è un di intreccio di relazioni e ha oggi un compito ben più ampio del semplice luogo dell’apprendimento. Nel film paradossalmente il colpevole non solo non è lo studente “diverso”, ma non è proprio uno studente. L’insegnante illuminata, protagonista del film, che ha un approccio moderno e vuole contenere i danni e gli eccessi sui suoi studenti, alla fine viene guardata con sospetto, quasi isolata, diventando il catalizzatore di tutte le responsabilità.

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INSEGNANTI E GENITORI: una guerra in corso?

INSEGNANTI E GENITORI: una guerra in corso?

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Identità genitoriali e valutazioni scolastiche

I genitori di Antonio sono arrabbiati con gli insegnanti del figlio, terzo anno di liceo scientifico: secondo loro lo perseguitano, lo riprendono in continuazione per il suo comportamento in classe, mentre lui dice di non fare niente di male.

L’insegnante di italiano è piuttosto insofferente al comportamento di Antonio. Il ragazzo non riesce a stare al suo posto e parla in continuazione con i compagni.

L’atteggiamento con cui si pone la famiglia nel rapporto con la scuola ha un ruolo importante nell’ambito delle dinamiche scolastiche e del progetto educativo sull’adolescente.

Vale la pena di aprire una parentesi sul profilo della coppia moderna che si trova oggi molto più spesso a gestire da sola il carico e le responsabilità della genitorialità. Gli attuali genitori si trovano a vivere esperienze nuove rispetto al passato. I disagi personali vissuti durante la propria crescita, le maggiori conoscenze della materia, i veloci cambiamenti sociali li hanno persuasi di non poter riproporre ai loro figli i valori o i modelli genitoriali che hanno vissuto loro stessi nella famiglia di origine.

Soprattutto la complessità della vita quotidiana nella società a cui apparteniamo, rende necessaria una notevole flessibilità e intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri tendono oggi a lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alla figura materna. Le madri rinunciando in parte all’esclusività del rapporto con i figli hanno maggiori possibilità di realizzazione personale all’esterno della famiglia. Questo non senza difficoltà da parte di entrambe le figure.

I nuovi ruoli che si definiscono all’interno della famiglia moderna non implicano semplicemente che i genitori fanno cose diverse da prima, ma anche che gli attuali ruoli non sono sostenuti da modelli di riferimento con cui identificarsi, come invece avveniva in passato. I genitori di oggi risolvono il loro compito provando e riprovando, andando per tentativi ed errori. I modelli dei propri genitori sono considerati ormai inadeguati. Questo non avere punti di riferimento può avere riflessi negativi sul piano dell’identità genitoriale, che ne risulta più incerta.

Un’identità genitoriale incerta è certamente più fragile e vulnerabile, ha più difficoltà a mettere il limite tra il sé personale e quello dei figli, è meno propensa a confrontarsi con il mondo esterno, che può anche essere vissuto con diffidenza.

Cosa comporta questo nel rapporto tra scuola e famiglia? Alcuni fatti di cronaca avvenuti alla fine dello scorso anno scolastico, sono stati molto sottolineati dai media tanto da far pensare a un conflitto tra categorie. Ma è davvero così? È vero che è in corso una guerra tra genitori e insegnanti?

Se davvero ci fosse sarebbe una guerra tra poveri.

Quello che accade è che l’incertezza sul piano dell’identità genitoriale e l’ombra di diffidenza di cui parlavo prima può entrare nella scuola e condizionare il rapporto con gli insegnanti. È una diffidenza legata alla difficoltà di distinguere tra sé e figlio e soprattutto alla paura di essere indirettamente valutati. Questa diffidenza può essere superata solo se e quando il genitore sente, che il suo operato di genitore non sarà giudicato.

Il giudizio di un insegnante può essere all’origine di penose oscillazioni sul piano dell’identità genitoriale, probabilmente per questo a volte gli insegnanti vengono screditati e di fronte ad un loro giudizio critico il genitore tende a schierarsi dalla parte del figlio proteggendolo, proteggendo in fondo anche se stesso.

Il colloquio con un insegnante è un momento importante e delicato in cui il genitore può sentire in ballo l’adeguatezza o inadeguatezza del suo fare il padre o la madre.

D’altra parte gli insegnanti oggi devono continuamente argomentare e giustificare il loro giudizio su un alunno, non è più dato per buono di diritto e hanno spesso l’impressione di doversi difendere dalle accuse d’imparzialità e anche loro a volte possono sembrare diffidenti.

Ho assistito più volte a colloqui difficili tra insegnanti e genitori, i genitori hanno l’impressione che il proprio figlio venga perseguitato o non capito, gli insegnanti hanno l’impressione di doversi difendere dalle accuse: ognuno si irrigidisce su una posizione difensiva.

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Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola
Alpes Italia 2015Uno Psicologo nella Scuola
di Patrizia Mattioli
Editrice Alpes Italia
pp. 142 I° edizione Roma 2015
€ 13,00 ISBN 978886531-314-5
È uscito a gennaio il mio nuovo libro Uno Psicologo nella Scuola
E’ un libro che ho scritto per raccontare la scuola e l’esperienza di  venticinque anni di consulenza scolastica. Ė un libro che parla del lavoro dello psicologo, ma soprattutto è un libro che parla di scuola, dell’incontro di studenti adolescenti, insegnanti e genitori, delle dinamiche che si costruiscono, della difficoltà di trovare un linguaggio comune. È rivolto a tutti i protagonisti della scuola, ma soprattutto a genitori e insegnanti,. Attraverso le storie e le esperienze raccontate il libro vuole fornire strumenti utili ad avvicinarsi e comprendersi reciprocamente, oltre ad avvicinare e comprendere il complicato e delicato mondo scolastico adolescenziale.
La scuola è una rete di relazioni dove studenti, insegnanti e genitori si incontrano e incrociano i propri modi di essere. Da questo incontro nasce un significato comune che offre ad ognuno un’immagine di sé che non può più prescindere dagli altri, un’identità scolastica che definisce per ognuno il suo sentirsi o non sentirsi parte di quella comunità.
La Scuola è uno scorrere parallelo e simultaneo di momenti di vita che continuamente riverberano gli uni con gli altri creando contrasti che rappresentano allo stesso tempo momenti di crisi che possono diventare momenti di crescita .
Sono importanti le storie personali dei ragazzi, dei genitori, degli insegnanti perché è attraverso le storie che si riesce a comprendere la coerenza di una crisi ed è possibile trasformarla in crescita.

Il libro si compone di due parti. Nella prima parte vengono affrontati gli aspetti teorici sia per quanto riguarda le norme che regolano la presenza dello psicologo a scuola e il ruolo che ne emerge, sia per quanto riguarda l’approccio teorico di riferimento che guida chi scrive. Viene illustrato il modello cognitivista post razionalista e la sua applicazione alle dinamiche scolastiche, con una parentesi sui vissuti dei protagonisti della scuola e uno ampio spazio dedicato alla lettura post razionalista del percorso adolescenziale.
La seconda parte è dedicata alle diverse esperienze che la presenza a scuola consente allo psicologo: la consulenza, l’approccio alle emergenze relazionali, la formazione dei gruppi di tutor per l’Accoglienza, i sondaggi conoscitivi, gli incontri a tema e le giornate di approfondimento. Tutti gli spazi raccontano le strategie utilizzate e nello stesso tempo sono un pretesto per l’approfondimento di temi adolescenziali.

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Genitori adolescenti e scuola

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Negoziare il tempo da dedicare allo studio

Le prestazioni scolastiche dei figli hanno una ricaduta particolare sulla vita dei genitori.

Se l’atteggiamento dei genitori di fronte allo studio oscilla tra il controllo (del tempo da dedicare allo studio, della gestione di un’interrogazione, ecc..), e la delega alla scuola e al ragazzo, è difficile per loro comprendere se e quali difficoltà egli possa avere di fronte agli impegni scolastici, ritrovandosi a volte ad affrontare risultati che lasciano perplessi e increduli senza avere il senso di come ci si sia arrivati.

Qualcuno si ritrova con una o due materie da portare a settembre se non addirittura la prospettiva di ripetere l’anno.

Molte volte una bocciatura arriva inaspettata perché i ragazzi hanno taciutoo sui risultati scolastici, altre volte fa seguito ad una flessione più o meno marcata del rendimento dopo un periodo soddisfacente.

La difficoltà scolastica viene spesso letta in funzione dello scarso impegno e della mancanza volontà, senza considerare che comportamenti inadeguati, disimpegni, rifiuti, sono in genere indicatori di malesseri affettivi e relazionali più complessi

La bocciatura per rimanere in tema, è un fallimento per il ragazzo, per i suoi genitori, per la scuola, ognuno ha la sua parte di responsabilità.

“Gli insegnanti non capiscono….sono stati ingiusti…non a hanno valutato l’impegno…non ti sei impegnato…..dovevo controllarti di più….o di meno…..” probabilmente tutte cose vere che tendono a spostare all’esterno, il problema, a cercare un colpevole: gli insegnanti , la scuola, il figlio o se stessi per spiegare il motivo di un insuccesso, senza mai arrivare a comprenderlo veramente..

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Un figlio che va male o è bocciato, va a scuotere l’immagine di buoni genitori e mette in discussione il progetto educativo portato avanti fino a quel momento, se non anche qualche progetto personale investito sul ragazzo più o meno consapevolmente.

Insoddisfazioni lavorative e obiettivi mancati, possono fare investire il figlio di aspettative di riscatto.

Si vorrebbe che egli diventasse la persona di successo che non si è diventati e si da per scontato che lui condivida questo obiettivo, non considerando neanche l’eventualità che possa pensarla in modo diverso.

Resta da chiarire che, se il ragazzo/a si è giocato la promozione, qualche indizio deve averlo pur dato durantre l’anno scolastico, come mai nessuno se ne è accorto?

Le vicende della vita attuale portano a volte i genitori a caricarsi di impegni e responsabilità che vanno ben oltre le proprie possibilità, tanto da rischiare di perdere di vista il rapporto con i figli a favore delle preoccupazioni esterne, è facile allora distrarsi e prendere per buona una rassicurazione, è quello di cui hanno bisogno per andare a lavorare sereni: si accetta una comunicazione puramente verbale senza soffermarsi a valutare se questa è coerente con tutte le altre informazioni che il ragazzo invia su altri piani (attraverso l’umore, il tempo che dedica allo studio, le informazioni che da a mezza bocca, la presenza o meno di racconti di vicende scolastiche, la chiusura/apertura che manifesta nei confronti dei compagni e degli insegnanti ecc…)

E’ giusto dare fiducia e autonomia, un adolescente deve imparare a regolarsi da solo, prendere consapevolezza delle proprie responsabilità, ma l’ autonomia và vigilata da lontano per poter cogliere in tempo eventuali difficoltà.

C’è anche da dire che, se pure i genitori sono attenti, è difficile per loro entrare nel mondo di un figlio adolescente.E’ difficile per loro cogliere gli aspetti più personali delle difficoltà senza doversele attribuire , è difficile cogliere l’adolescenziale paura di deludere, di essere rimproverato, di stimolare bronci e critiche, rifiuti, esclusioni e divieti, prima di sentirsi genitori sbagliati. E’ forse qui il cuore del problema: le difficoltà, le incertezze, i limiti, dei figli fanno soffrirre. E un ragazzo lo sa, per questo gli sembra più facile non parlare delle difficoltà che incontra a scuola, sperando che le cose cambino, che i genitori non si accorgano che non è bravo, che è diverso da come lo vedono o lo vorrebbero, che magari si ribalti lo scenario, senza fare previsioni per il futuro e ritrovandosi poi esattamente al punto che voleva evitare, ma offrendo all’esterno la possibilità di chiamare in causa lo scarso impegno e la mancanza di volontà.