Storia della Psicologia – J. Bowlby – La teoria dell’attaccamento – (27)

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Gli studi di Lorenz fornivano la dimostrazione che i legami affettivi si possono formare senza che sia implicato il nutrimento contrariamente a quello che ritenevano gli psicoanalisti e i comportamentisti.
Bowlby ritenne che un processo simile all’imprinting potesse avvenire anche nella specie umana, con la differenza che negli esseri umani il periodo critico non è così breve e immediatamente dopo la nascita, ma si estende a gran parte del primo anno di vita e in questo caso non si parla di imprinting, ma di attaccamento.
Un’altra prova gli fu data dai lavori di Harry Harlow (1958), che confermavano l’esistenza dell’imprinting nei primati non-umani.

Nell’esperimento più famoso, scimmiette allevate senza madre erano poste in una gabbia contenente due surrogati di madri: una madre fatta di filo di ferro con al centro un biberon e una madre fatta di legno e ricoperta di stoffa. I risultati dell’esperimento dimostrarono che la variabile nutrizione non aveva alcun effetto sull’attaccamento preferito dalle scimmiette, tutte passavano la maggior parte della giornata attaccate alla madre di stoffa. Qualora fossero spaventate da qualche stimolo pauroso si aggrappavano ad essa e mostravano così di tranquillizzarsi.
Anche l’attaccamento nelle scimmie aveva un periodo critico: era forte se la scimmietta veniva esposta all’esperienza della madre di stoffa dai 30 ai 90 giorni di vita, se invece succedeva in età più avanzata avvenuta in isolamento, l’attaccamento era estremamente parziale e si annullava appena l’animale era un pò spaventato: si accoccolava e si dondolava monotonamente invece di aggrapparsi alla madre di stoffa in cerca di sicurezza.
Tali esperienze influivano sul comportamento adulto: queste scimmie mostravano difficoltà ad affezionarsi, mancanza di senso collaborativo, tendenza all’aggressività e completa assenza di reazioni sessuali. Questi effetti si riscontravano in modo ridotto ovviamente, anche nelle scimmie allevate con la madre di stoffa.

A sostegno delle sue ipotesi sull’importanza delle separazioni c’erano i lavori di René A.Spitz (1962).img_0950

Le ricerche di Spitz avevano indagato soprattutto gli effetti della mancanza di cure materne nei bambini ricoverati in brefotrofio. Le sue osservazioni provavano l’importanza determinante del rapporto con la figura materna per lo sviluppo dell’emotività, della psicomotricità e del linguaggio del bambino.
In questi bambini Spitz aveva studiato e descritto la sindrome nota come ospitalismo, i cui sintomi principali consistevano in un generale ritardo nello sviluppo. Spitz aveva notato che la psicomotricità di questi bambini era talmente compromessa che a volte a 4 anni, avevano difficoltà nella deambulazione, incapacità ad alimentarsi e vestirsi da soli e una quasi totale incapacità a controllare gli sfinteri. Il linguaggio era costituito da poche parole, a volte addirittura assente. I comportamenti emotivi risultavano bloccati, l’espressione mimica era rudimentale, la percezione di sé molto incerta per cui i bisogni fondamentali (fame, sete, …) non erano distinti e espressi; di fronte allo specchio questi bambini rimanevano indifferenti ed erano incapaci di rapporti sociali.
Anche nel caso che il bambino aveva goduto per 5 o 6 mesi di un buon rapporto con la madre e poi, per vari motivi veniva privato di questo contatto, si avevano cambiamenti comportamentali evidenti dopo le prime 4 settimane di separazione: il bambino piagnucolava, rifiutava il cibo, non dormiva, contraeva infezioni ricorrenti, a poco a poco rifiutava i contatti con le persone e le cose. Questo quadro clinico definito depressione anaclitica era regredibile se il bimbo poteva ricongiungersi con la madre entro 5 o 6 mesi, anche se poi mostrava un particolare tipo di adattamento: di accomodamento e gentilezza con tutti in superficie, con una repressione delle proprie necessità emotive.

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John Bowlby – La Teoria dell’Attaccamento – (26)

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John Bowlby: la teoria dell’attaccamento

Ma come arriva ogni individuo a costruirsi un certo modo di conoscere la realtà piuttosto che un’altro? Quali aspetti della vita personale sono rilevanti in questo senso?
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Era chiaro che la radice dei problemi emotivi della vita adulta si dovesse far risalire ad eventi dell’infanzia, non era chiaro quali dovevano essere gli aspetti da considerare più importanti in questo senso.
Negli anni ’30, un filone della corrente psicoanalitica aveva cominciato a prendere in considerazione le relazioni oggettuali, cioè il rapporto con la madre, come area di studio per spiegare lo sviluppo delle nevrosi e della sofferenza psichica.
Fino ad allora si riteneva che i bambini di pochi mesi non avessero capacità di relazione o di apprendimento e che il motivo per cui sviluppavano uno stretto legame con la madre era che lei lo nutriva. Si riteneva che la fame fosse un bisogno primario e la relazione personale un bisogno secondario.
Gli studi successivi hanno dimostrato il contrario, il primo di questi è stato il lavoro di J. Bowlby.

John Bowlby (1907-1990), psichiatra, psicanalista, entra a far parte della Società psicoanalitica negli anni Trenta. In quel periodo la Società era divisa in due opposte fazioni guidate da una parte da Melanie Klein e dall’altra da Anna Freud, che si scontravano su alcuni aspetti teorici della psicoanalisi. Abbiamo visto che Freud considerava fondamentale il complesso edipico per lo sviluppo della nevrosi e si era occupato poco della relazione madre-bambino. La Klein introduceva invece l’importanza del rapporto con la madre soprattutto nei suoi aspetti fantasmatici, Anna Freud al contrario, rimaneva fedele al punto di vista paterno.
In questa atmosfera caratterizzata dalla lotta per la supremazia, Bowlby cercò di trovare un suo spazio portando avanti due discorsi: il primo, quello di dare scientificità alla psicoanalisi e di rivedere la teoria freudiana alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, dei meccanismi di feedback e dei processi di informazione, il secondo di riconoscere all’ambiente un ruolo importante nell’eziologia delle nevrosi.
La base scientifica per la teoria, gli fu offerta dall’etologia. Bowlby rimase colpito dagli studi sull’imprinting di Konrad Lorenz (1949).

Il termine imprinting sta ad indicare quel fenomeno per cui i neonati uccelli appena usciti dal guscio tendono a seguire il primo oggetto che vedono in movimento e si comportano nei suoi confronti come se fosse la madre.
imageLorenz studiò inizialmente questo fenomeno in alcune specie di uccelli da cortile. Il suo lavoro dimostrava che la fissazione sull’oggetto (genitori o loro sostituti), poteva avvenire in un periodo di tempo breve, definito periodo critico, immediatamente successivo alla schiusa. Il forte legame che si creava nei confronti di una specifica figura materna poteva avvenire senza l’intermediazione del cibo perché molti piccoli uccelli si nutrivano da soli sin dalla nascita, catturando gli insetti.
Lorenz aveva osservato inoltre che esperienze di mancato imprinting avevano conseguenze sulla vita adulta. Individui che erano stati isolati durante il periodo critico, una volta adulti non riuscivano ad inserirsi nel gruppo naturale animale se non in posizioni gerarchicamente basse, caratterizzate da un disimpegno quasi totale nelle decisioni da prendere per la sopravvivenza del gruppo. Anche il comportamento sessuale risultava disturbato, animali allevati completamente dall’uomo nel periodo dell’accoppiamento rifiutavano i loro simili e cercavano di accoppiarsi con i loro allevatori umani.

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Storia della Psicologia – Il cognitivismo-(25)

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Storia della Psicologia – Il cognitivismo – (25)

Parallelamente Liotti si è occupato e si occupa tuttora delle discontinuità della coscienza.
Liotti considera i disturbi dissociativi come un meccanismo di difesa della mente di fronte ad eventi traumatici insostenibili, essi sono legati alla costruzione di modelli operativi interni multipli a loro volta dovuti allo strutturarsi di un attaccamento di tipo disorganizzato (vedi pag. ) con genitori: maltrattanti o gravemente depressi per un lutto o affetti da disturbi mentali.image
Il collegamento che fa Liotti tra attaccamento e disturbo della coscienza permette alla terapia cognitiva di aprire la strada alla cura dei disturbi più gravi prima poco praticabile. Il suo punto di vista infatti prevede che gli interventi terapeutici siano focalizzati soprattutto sulla relazione tra terapeuta e paziente e prescindano quindi dalla qualità delle funzioni mentali.

Un interesse attuale all’interno della psicoterapia cognitiva è quello per la comprensione degli aspetti caratteristici dei paradossi nevrotici. Perché i comportamenti problematici vengono giudicati dal soggetto come involontari e i processi mentali che li provocano come estranei a sé e perché un comportamento problematico si mantiene nel tempo nonostante gli sforzi del soggetto per modificarlo?
Soprattutto F.Mancini ha cercato di rispondere a queste domande. F.Mancini ritiene che il paradosso nevrotico abbia senso all’interno di un sistema di scopi e credenze: quello che a un osservatore esterno può apparire un conflitto di scopi può essere nella mente del soggetto funzionale al raggiungimento di scopi intermedi non immediatamente evidenti ad un osservatore esterno. L’autore ritiene che il paradosso nevrotico sia sostenuto da meccanismi di autoinganno (che consistono nel cercare di modificare la realtà piuttosto che conoscerla) che non sono tipici del paradosso nevrotico ma presenti anche nella condotta comune e normale (è un esempio di autoinganno il caso in cui evitiamo di andare a vedere i risultati di un esame: non sapere il risultato può dare l’illusione di essere stati promossi).

Il cognitivismo clinico si presenta dunque come un campo eterogeneo ancora in via di sviluppo. Chi si avvicina alla terapia cognitiva può incontrare indistintamente un terapeuta cognitivista standard, o un costruttivista, o un post-razionalista,….cognitivismo
Abbiamo detto che quello che accomuna i diversi orientamenti è l’importanza data alle strutture di significato e ai processi di elaborazione della conoscenza. Bisogna aggiungere che esse hanno in comune anche lo scopo che è quello di migliorare nell’individuo che vi fa ricorso quella che oggi viene chiamata la funzione metacognitiva : la capacità di riflettere sui propri stati e processi mentali, di comprendere gli stati e i processi mentali degli altri, di utilizzare queste capacità per risolvere i propri problemi e ridurre la propria sofferenza.

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Storia della. Psicologia-Il Cognitivismo-(24)

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Storia della. Psicologia – Il Cognitivismo – (24)

Prima di proseguire va fatta qualche considerazione. Vediamo che si ripresentano nelle trattazioni cognitiviste i concetti di coscienza e inconscio che erano assenti invece nelle trattazioni comportamentiste. Secondo i comportamentisti il comportamento umano era il risultato di sequenze di stimolo-risposta che avvenivano indipendentemente dalla coscienza e di cui quest’ultima rappresentava un aspetto poco importante.
Gli psicologi cognitivi invece hanno cercato di capire come si sviluppa la coscienza, quali sono le sue funzioni e che relazione ha con l’inconscio nel regolare la condotta individuale. In questo senso anche per i cognitivisti (come per Freud), la coscienza rappresenta solo una piccola parte dei processi mentali che avvengono prevalentemente a livello inconscio.
Il concetto di inconscio cognitivo è però molto diverso da quello psicoanalitico. Non è il luogo del rimosso o delle pulsioni, ma una struttura complessa in cui vengono elaborate una grande quantità di informazioni. L’inaccessibilità alla coscienza non dipende da resistenze o meccanismi di difesa, ma dal fatto che i processi inconsci, rimanendo inaccessibili permettono alla coscienza di mantenere le sue funzioni che sono prevalentemente quelle di gestire i problemi creati dalle contingenze ambientali e mantenere la continuità storica dell’individuo attraverso l’identità personale.

Il lavoro di Guidano e Liotti diventa un punto di riferimento per i cognitivisti clinici per diversi anni. Successivamente i due autori svilupperanno punti di vista che li porteranno su strade diverse.
Alla fine degli anni Ottanta, Guidano sviluppa ulteriormente Guidano l’impostazione costruttivistica e chiamerà il suo approccio post-razionalista. Guidano afferma che l’uomo è essenzialmente un sistema chiuso che vive all’interno di una realtà del tutto personale di cui una parte importante è costituita dal proprio senso di identità personale. Ogni elaborazione di informazioni sia dall’esterno che dall’interno, è finalizzata al mantenimento di questa identità personale. Ovvero le strutture di significato personali sono più orientate a mantenere la propria stabilità interna che a cotruire una mappa dettagliata della realtà.
La maggior parte di questo lavoro si svolge all’interno del livello esplicito che deve risolvere due esigenze opposte: quella di essere coerente con il livello tacito quindi di fare in modo che le rappresentazioni mentali abbiano una corrispondenza per esempio con l’esperienza emotiva e quella di mantenere il più possibile stabile il proprio senso di identità personale.
Quando questo non avviene perché a livello tacito si verificano oscillazioni emotive particolarmente intense che non possono essere comprese sul piano esplicito come facenti parte di sé, queste vengono negate e percepite come qualcosa di estraneo (per esempio un attacco di panico) e il vissuto personale che ne deriva è di sofferenza.
Il compito della psicoterapia è secondo Guidano, quello di ricostruire le esperienze problematiche da diversi punti di vista per reintegrarle in una visione aggiornata della propria identità personale.
Un’applicazione del modello di Guidano alle dinamiche e alle relazioni familiari è stata fatta da M. Dodet, allievo di Guidano, il che ha consentito l’approccio alla terapia di coppia e di gruppo, fino a quel momento impensabili per la psicoterapia cognitivista.

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Storia della Psicologia -Il Cognitivismo -(23)

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Storia della Psicologia – Il Cognitivismo – (23)

Il primo lavoro in cui viene proposta una teoria della mente costruttivo-strutturalista è quello di due italiani: Guidano e Liotti (1r983).

Partendo dal presupposto che la conoscenza umana è un prodotto dell’evoluzione, che è un processo dinamico che, in base alle elaborazioni consentite dalle strutture di significato del soggetto, costruisce modelli sempre più raffinati della realtà e che tutto il sistema conoscitivo è regolato dal principio della coerenza, Guidano e Liotti affermano che l’esperienza cosciente umana è il risultato di diversi processi inconsci. Più precisamente affermano, facendo riferimento alla teoria di Bowlby, e alla psicologia dello sviluppo cognitivo di Piaget, che l’organizzazione cognitiva individuale funziona secondo regole tacite (inconsce) che vengono costruite nel corso dello sviluppo dalla nascita all’età adulta (i modelli operativi interni di cui parla Bowlby vedi cap.VII) e che caratterizzano il modo personale di essere e di elaborare le esperienze. Tali regole sono preverbali, preattentive, emotive e operano prevalentemente secondo modalità analogiche. Al livello tacito, inconscio corrisponde sul piano cosciente un livello esplicito della propria organizzazione cognitiva che è invece costituito dalle idee che ogni individuo è consapevole di avere di se stesso che gli permettono di osservarsi e valutarsi continuamente: i tratti e le caratteristiche personali, il senso del proprio valore e della propria amabilità, tutto ciò che serve a mantenere il senso di identità personale. Il livello esplicito opera prevalentemente attraverso il linguaggio.
Le regole tacite si compongono in una struttura di significato personale che mette ordine nelle esperienze che viviamo e le trasforma continuamente in informazioni esplicite, consapevoli su noi stessi e sul mondo.  Secondo questa prospettiva la sofferenza psichica si origina quando le esperienze emotivo-immaginative generate ed elaborate dalla struttura tacita inconscia, non possono essere trasformate in conoscenza esplicita conscia, in altre parole l’esperienza emotiva non riesce ad essere compresa all’interno del proprio senso di identità personale e viene allora vissuta come un’esperienza che non fa parte di sé, egodistonica. image

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Storia della Psicologia-Il Cognitivismo -(22)

Michael J.Mahoney (1946-2006)

Michael J.Mahoney
(1946-2006)

Storia della Psicologia – Il Cognitivismo – (22)

Negli anni Ottanta questo punto di vista, pur se con il riconoscimento della sua efficacia nel trattamento di diversi disturbi psichici, divenne oggetto di critiche all’interno dello stesso cognitivismo clinico.
L’insoddisfazione di fondo era soprattutto per l’idea di uomo che era alla base delle teorie di Beck e Ellis: considerare i comportamenti e le emozioni come il risultato delle valutazioni cognitive (che fossero pensieri automatici o idee irrazionali), sembrava troppo limitante e riduttivo, si sentiva la necessità, soprattutto all’interno della scuola italiana, di teorie che si spingessero più avanti nella comprensione dell’uomo e del suo disagio psichico.
La terapia cognitiva standard è stata accusata di trascurare i processi inconsci, di considerare le emozioni come il risultato dei pensieri e come qualcosa che andava controllato e non espresso, di dare troppa importanza agli aspetti razionali e verbali a scapito dell’emotività e del non verbale, e soprattutto di aver inserito l’elaborazione cognitiva nel modello comportamentista stimolo-risposta senza sviluppare una teoria che tenesse conto della natura costruttivista della mente umana (Mahoney 1980). Più recentemente sono stati sollevati altri due problemi che la terapia cognitiva standard non ha affrontato adeguatamente: il primo è quello del paradosso nevrotico (F.Mancini 1996), il secondo è quello dei pazienti gravi (Liotti 1993)

Il punto di vista costruttivista, che come abbiamo visto ha un precursore in Kelly, parte dal presupposto che non esiste una realtà oggettiva, conoscibile come tale, ma che ogni individuo si costruisce una sua realtà in modo soggettivo e che ognuna di esse è valida.
L’uomo ha un ruolo attivo nei confronti della conoscenza di sé e del mondo. L’idea che l’individuo si fa della realtà che lo circonda non è dovuta ad una elaborazione passiva degli stimoli ambientali che via via lo colpiscono, ma è piuttosto il risultato della selezione personale degli stimoli a cui rispondere e, in base alla selezione fatta, della costruzione graduale di un modello personale di mondo.
Alcuni elementi della struttura conoscitiva (denominati schemi, costrutti o frame a seconda delle diverse teorie) sono geneticamente determinati e presenti alla nascita. A partire da questi l’individuo comincia a costruire le sue prime esperienze che andranno ad arricchire la struttura conoscitiva di base. Ogni nuova esperienza sarà condizionata dalla struttura di base e a sua volta la condizionerà diventando al tempo stesso il risultato delle esperienze passate e la causa delle esperienze future. Soltanto informazioni previste dalla propria struttura di base possono essere prese in considerazione dall’individuo ed entrare a far parte del proprio bagaglio di conoscenze.