da patrizia mattioli | Ott 5, 2015 | Storia della psicologia
La teoria di Kelly, che in alcune interpretazioni è oggi usata in campi molto diversi (architettura, antropologia, insegnamento, psicologia, psicoterapia,…), viene ignorata per diversi anni probabilmente perché l’idea dell’uomo come creatore di se stesso e artefice del proprio mondo era troppo lontana dal linguaggio della comunità scientifica di quel periodo. Così la psicologia dei costrutti personali sarà riscoperta solo diversi anni dopo la morte di Kelly.
Aaron Beck (1921 -l
La fondazione del cognitivismo clinico viene generalmente attribuita a Aaron Beck (1921 – ) e Albert Ellis (1913 – 2007).
Entrambi provenienti dalla scuola psicoanalitica, se ne allontanano negli anni Sessanta, periodo in cui negli Stati Uniti la psicoanalisi attraversa una profonda crisi: la teoria delle pulsioni non sembrava più proponibile ed era necessario costruire nuove teorie cliniche, soprattutto non sembrava più possibile interpretare i disturbi in base a concetti teorici generali, era necessario cercare modalità di trattamento che fossero più vicine all’esperienza realmente vissuta dai pazienti.
In particolare secondo Beck(1976) la psicoanalisi non aveva dato la dovuta importanza alle idee conscie del paziente (i suoi pensieri e le sue fantasie), non era nell’inconscio l’origine della sofferenza, ma nella coscienza, in quelli che Beck chiama pensieri automatici, pensieri difficili da focalizzare proprio perché automatici, ma non inconsci.
I pensieri automatici sono l’espressione di precise strutture di significato personale denominate generalmente modelli cognitivi o schemi cognitivi, che l’individuo si è costruito durante lo sviluppo. Nella sofferenza tali schemi risultano disfunzionali in quanto distorcono la realtà, provocano sofferenza, prevalgono sugli altri schemi e influenzano la produzione dei pensieri automatici. Per esempio nella depressione entra in funzione in maniera disfunzionale lo schema della perdita e si riscontra la distorsione di quella che Beck chiama la triade cognitiva, cioè sono presenti, sotto forma di pensieri automatici, aspettative negative nei confronti dell’ambiente, opinioni negative su di sé e aspettative negative sul futuro. Il doloroso vissuto depressivo deriva direttamente da queste valutazioni negative.
Albert Ellis (1913-2007)
Affine alla posizione di Beck è quella di Ellis(1962) che vede alla base della sofferenza dei pazienti la presenza di idee irrazionali, come per esempio quella di dover essere sempre amato e approvato da tutti per evitare l’eventualità di essere respinto da qualcuno.
Sia la terapia cognitiva di Beck (oggi denominata terapia cognitiva standard) che la terapia di Ellis denominata terapia razionale-emotiva , considerano la nevrosi come il risultato di un modo irrazionale o distorto di elaborare le esperienze, compito del terapeuta è quindi quello di aiutare il paziente a diventare consapevole di questo modo distorto di pensare per poi modificarlo e renderlo più realistico.
da patrizia mattioli | Giu 3, 2015 | Storia della psicologia
A favorire le origini dell’attuale cognitivismo clinico, sono stati i contributi di autori provenienti dal comportamentismo, dalla psicoanalisi e dal costruttivismo come George Kelly.
Prima ancora che si parlasse di cognitivismo, alcuni autori formularono ipotesi cliniche che si sarebbero rivelate precorritrici del successivo sviluppo cognitivista.
Uno di questi è stato George A.Kelly (1905-1967) che nel 1955 pubblica un testo (The Psychology of Personal Constructs) che anticipa i principi del cognitivismo.
Il dibattito scientifico contrapponeva in quel periodo le teorie di impostazione psicoanalitica alle teorie di impostazione comportamentista ma entrambe le scuole di pensiero, anche se da punti di vista completamente diversi, avevano in comune una visione dell’uomo come soggetto tendenzialmente passivo: determinato dalle pulsioni per la psicoanalisi, dai rinforzi ambientali per i comportamentisti.
Kelly ribalta questo punto di vista e considera l’uomo come costruttore attivo della propria realtà: il nostro contatto con la realtà non è mai libero da interpretazioni personali e allora possiamo soltanto fare ipotesi su ciò che la realtà è e poi verificare l’applicabilità o meno delle nostre ipotesi.
Il fine ultimo dell’essere umano è di aumentare la prevedibilità degli eventi, cioè le proprie capacità previsionali. Il modo in cui l’essere umano anticipa gli eventi, condiziona le sue attività.
L’unità elementare attraverso la quale è possibile fare previsioni è il costrutto che è una struttura dicotomica bipolare in cui i poli sono opposti secondo criteri psicologici quindi del tutto personali.
Molti costrutti sono verbali e consapevoli altri sono preverbali (in quanto costruiti nella prima infanzia, prima dell’acquisizione del linguaggio) e influiscono in maniera inconsapevole nel dirigere le esperienze dell’individuo: per esempio quando si evitano o si ricercano certe situazioni, apparentemente senza motivo.
I costrutti si organizzano in strutture di significato, in cui i costrutti centrali sono riferiti al sé, che si sviluppano e si modificano nel corso del tempo. Si ha una costruzione nevrotica della realtà quando si continuano ad utilizzare le stesse ipotesi previsionali nonostante queste si siano dimostrate fallimentari (per esempio si evita di prendere l’ascensore per paura di rimanere intrappolati nonostante non sia mai capitato).
(segue)
da patrizia mattioli | Mar 3, 2015 | Storia della psicologia
La concezione dell’uomo come elaboratore di informazioni caratterizza il cognitivismo fino agli anni ’70, stimolando ricerche sperimentali su modelli di funzionamento mentale sempre più sofisticati.
Negli anni ’70 comincia a farsi strada tra i cognitivisti una seconda concezione detta ecologica. Secondo l’impostazione ecologica è riduttivo considerare l’uomo come elaboratore di informazioni senza tenere conto delle relazioni che l’individuo intrattiene con l’ambiente esterno sia fisico che sociale. L’analogia con l’elaboratore elettronico ha portato a lavorare sempre di più sugli esperimenti in laboratorio, perdendo di vista quello che è il rapporto dell’uomo con il mondo esterno nella vita quotidiana. L’uomo è sì un elaboratore di informazioni ma va considerato sempre all’interno del suo ambiente perché è lì che acquisisce e elabora ed è lì che poi agisce comportandosi (Neisser 1976) .
Sia gli psicologi che aderiscono all’impostazione ecologica che quelli che aderiscono alla concezione dell’elaborazione umana dell’informazione (oggi chiamata scienza cognitiva) si riconoscono all’interno dell’orientamento cognitivista ed entrambe le concezioni sono tuttora attuali.
Coloro che aderiscono al filone della scienza cognitiva continuano a studiare le diverse funzioni psicologiche (linguaggio, pensiero, percezione, ecc….) attraverso il computer, mentre coloro che aderiscono all’impostazione detta ecologica si preoccupano di costruire teorie della personalità e sviluppare forme adeguate di psicoterapia per la cura della sofferenza psichica.
La corda sensibile – R.Magritte
All’interno di questo secondo cognitivismo, orientato più in campo clinico che sperimentale, convivono punti di vista diversi sullo sviluppo e il mantenimento della sofferenza psichica ciò che è comune a tutti è il ritenere che la sofferenza o la salute psichica, siano in stretta relazione con il bagaglio di conoscenza di cui dispone l’individuo.
Per conoscenza si intende il modo in cui l’individuo entra in rapporto con se stesso e con l’ambiente che lo circonda e il significato che in relazione a questo attribuisce alle proprie emozioni e agli stimoli ambientali.
La conoscenza non coincide necessariamente con la consapevolezza e può essere attiva in un determinato momento solo in maniera inconsapevole o automatica. Per questo i cognitivisti parlano di sistema profondo di significati e attribuiscono importanza ai processi attraverso i quali la conoscenza viene elaborata.
Data la quantità e diversità dei punti di vista (si parla oggi di circa venti forme diverse di terapia cognitiva), accennerò soltanto ai momenti che ne hanno caratterizzato lo sviluppo in generale e ai principali orientamenti del cognitivismo clinico italiano.
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da patrizia mattioli | Gen 21, 2015 | Storia della psicologia
Ulric Neisser
Il cognitivismo nasce in opposizione al comportamentismo: il suo nome iniziale era ceno-comportamentismo. Non è esattamente una scuola, almeno non nel senso in cui lo erano lo strutturalismo, il comportamentismo o la psicologia della gestalt.
Abbiamo visto che il comportamentismo cercava di spiegare il comportamento umano come il risultato di apprendimenti e condizionamenti avvenuti a partire dall’infanzia, con completo disinteresse per i processi mentali che avvengono nell’individuo che questa impostazione aveva ridotto sempre di più il campo di indagine della psicologia..
Negli anni ’50 molti psicologi, alcuni dei quali provenienti anche dal comportamentismo, si resero conto che era necessario capire ciò che avviene nell’organismo tra il momento in cui è sottoposto ad uno stimolo ambientale e il momento in cui esso risponde a questo stimolo.
A questo scopo risultavano utili la teoria dell’informazione (presa a prestito dalla matematica) e la cibernetica (scienza nata insieme agli elaboratori elettronici, che studia i processi di controllo e di comunicazione nei sistemi complessi come le macchine, gli organismi e le società).
Gli elaboratori elettronici sono stati considerati fin dall’inizio come modelli del cervello umano, per questo erano anche chiamati cervelli elettronici.
Come il cervello umano essi possono ricevere informazioni, dall’esterno (nell’uomo questo corrisponde alla percezione), elaborarle, codificarle e memorizzarle, per recuperarle in seguito per la risoluzione di problemi (nell’uomo questo corrisponde al pensiero).
Sembrava possibile simulare le funzioni del cervello umano con l’aiuto degli elaboratori. Si potevano formulare ipotesi sul funzionamento cerebrale, trasformarle in un programma per l’elaboratore e paragonare poi le prestazioni della macchina con quelle di alcuni soggetti sperimentali. Se le prestazioni dei soggetti sperimentali e quelle dell’elaboratore risultavano simili tra loro, si consideravano le ipotesi iniziali valide e il programma poteva essere considerato come un corrispondente dei processi mentali dell’individuo.
Se il libro Piani e strutture del comportamneto è considerato una pietra miliare della psicologia cognitiva, è il libro di Ulrich Neisser Psicologia cognitiva del 1967 a dare un nome al nuovo movimento e forma scritta alle nuove concezioni.
Il cognitivismo segna una decisa rottura con la tradizione comportamentista, aleno per quanto riguarda il campo sperimentale che è oggi quasi completamente in mano ai cognitivisti.
da patrizia mattioli | Dic 16, 2014 | Storia della psicologia
Lo sviluppo dell’intelligenza può essere visto come una successione di stadi in cui si alternano fasi di assimilazione e accomodamento, che possono essere così suddivisi:
1) periodo dell‘intelligenza sensomotoria che va dalla nascita a due anni di vita:
2) periodo di preparazione alle operazioni concrete e della loro organizzazione, che si suddivide in due periodi:
a) periodo dell’intelligenza preoperatoria, dai 2 ai 6 anni di vita,
b) periodo delle operazioni concrete, dai 7 agli 11/12 anni;
3) periodo delle operazioni formali.
Periodo sensomotorio. Il bambino possiede alla nascita soltanto una serie di riflessi (suzione, pianto, prensione, ecc..), non ha alcuna consapevolezza della distinzione tra sè e mondo esterno (egocentrismo) e non è in grado di pensare ed evocare le persone o gli oggetti in loro assenza. E’ nel corso del periodo sensomotorio che egli passa gradualmente da azioni riflesse ad azioni dirette ad uno scopo, alla costruzione dell’oggetto permanente (è la capacità di ritrovare un oggetto anche se nascosto, ovvero gli oggetti e le persone esistono anche se non si vedono o non si sentono) ed è in grado di stabilire semplici nessi di causa-effetto.
L’intelligenza sensomotoria è un’intelligenza di natura pratica, cioè diretta a conseguire risultati e non a scoprire meccanismi di funzionamento, risolve quindi una serie di problemi, come il raggiungere oggetti lontani, o nascosti. Sono problemi risolti attraverso la percezione e il movimento, senza che intervengano i pensieri.
Al compimento dell’intelligenza sensomototira, il bambino ha acquisito in senso pratico le nozioni di oggetto, spazio, movimento, causa, tempo.
Al decentramento cognitivo corrisponde sul piano affettivo la differenziazione tra l’io e il mondo.
Nel periodo preoperatorio, compare una funzione fondamentale per l’evoluzione delle ulteriori condotte. E’ una funzione che consiste nel poter rappresentare qualcosa (un significato, un oggetto, un avvenimento), attraverso un simbolo che serve solo per questa rappresentazione: è la funzione del linguaggio.
Anche il pensiero preoperatorio è caratterizzato dall’egocentrismo: il bambino non è in grado di considerare il punto di vista dell’altro e di considerare il suo punto di vista come uno dei tanti possibili.Se gli viene mostrata una scatola di caramelle e gli viene chiesto di dire cosa penserebbe di trovarci dentro un suo amichetto, il bambino fino a circa quattro anni risponderebbe “delle biglie”, senza tenere conto che il suo amichetto non possiede ancora questa informazione.
L’intelligenza che predomina in questo periodo è detta preconcettuale, perché i concetti hanno un’esistenza indipendente e vengono collegati tra loro da semplici somiglianze. Ad esempio il bambino confonde tra papà e uomo ed è portato ad affermare che tutti gli uomini sono papà-
A partire dai 4 anni, c’è uno sviluppo più intenso dell’attività concettuale, anche se l’intelligenza è sempre prelogica. Un esempio è dato dall’esperienza sulla conservazione della quantità di sostanze: di fronte a due recipienti che contengono la stessa quantità di acqua, di cui uno è alto e stretto e l’altro basso e largo, il bambino sarà portato ad affermare che è quello alto a contenere la maggiore quantità di acqua. Egli comprende che un recipiente è più alto e stretto, ma non coordina le due trasformazioni di altezza e larghezza subite dall’acqua con il travaso.. Solo quando metterà in relazione l’aumento dell’altezza con la diminuzione dello spessore, arriverà a comprendere che la quantità di acqua è rimasta immutata.
Il periodo delle operazioni concrete segna un grosso progresso nella socializzazione e nell’oggettivazione del pensiero. Il bambino diventa capace di decentramento, cioè non è più limitato dal suo punto di vista, può coordinare parecchi punti di vista e trarne delle conseguenze. E’ in grado di eseguire operazioni su quantità fisiche quali le lunghezze, le distanze, le superfici, il peso, la durata, la velocità.
In campo sociale prende coscienza del suo pensiero, di quello degli altri, si moltiplicano i rapporti sociali prima concentrati sui familiari.
Nel periodo delle operazioni formali, l’adolescente è in grado di ragionare per ipotesi, di esaminare l’insieme dei casi possibili e di considerare il reale come un semplice caso particolare. E’ in grado di ragionare su situazioni che non sono presenti in quel momento o che sono semplicemente possibili, infine diventa capace di riflettere sui propri processi di pensiero, capacità che rappresenta per Piaget il completamento dello sviluppo cognitivo.
L’età cronologica in cui si presentano il funzionamento senso-motorio, concreto o formale proposta da Piaget, è solo orientativa, molte variabili possono influire su di essa: l’intelligenza, l’esperienza precedente, l’ambiente in cui il bambino cresce e così via. Non tutti gli individui poi raggiungono i livelli più avanzati di sviluppo, sia in culture diverse, che all’interno della stessa cultura. Può succedere ad esempio che gli adulti presentino un pensiero adulto in alcune aree e non in altre e funzionino a livello sensomotorio in alcuni compiti e a livello formale in altri.
Ma anche se la trasformazione del pensiero non avviene sempre in modo lineare e le stimolazioni socio-culturali e le esperienze del bambino possono modificare l’iter evolutivo, resta comunque immutato l’ordine con cui gli stadi si susseguoo.
L’importanza del lavoro di Piaget è stato riconosciuto a livello internazionale solo a partire dagli anni ’60, quando negli Stati Uniti il comportamentismo cominciava a perdere credibilità e il lavoro di Piaget si prestava a rappresentare il bisogno di cambiamento che si sarebbe concretizzato nel cognitivismo.
da patrizia mattioli | Ott 1, 2014 | Storia della psicologia
Jean Piaget
Il metodo sperimentale rigidamente imposto dai comportamentisti, ha fatto sì che le ricerche psicologiche fossero da lì in poi impostate in maniera scientifica, nello stesso tempo però ha impoverito il campo di studio della psicologia, riducendo al comportamento tutte le capacità umane.
Era necessario recuperare l’aspetto più umanistico della psicologia. Jean Piaget (1896-1980), ha avuto probabilmente un ruolo determinante in questo senso.
Jean Piaget ha elaborato la più completa interpretazione e osservazione dello sviluppo cognitivo, cioè dello sviluppo dell’intelligenza, partendo dal presupposto che questa abbia una dimensione genetica.
Il termine genetico si riferisce allo sviluppo individuale (ontogenesi): La psicologia genetica cerca di spiegare le funzioni mentali, i processi cognitivi, attraverso il modo in cui si sono formati, cioè attraverso il loro sviluppo nel bambino.
Per fare questo Piaget è partito dallo studio dello sviluppo delle diverse strategie che il bambino usa per risolvere problemi sperimentali.
Secondo Piaget l’intelligenza ha una base biologica. Alla nascita non possediamo strutture mentali cognitive già costituite, ma piuttosto un modo di metterci in relazione con l’ambiente. Questo modo che è poi in comune con tutti gli esseri viventi, ha due principali caratteristiche che sono: l’organizzazione e l’adattamento.
L’adattamento comprende due processi complementari che sono quelli dell’assimilazione e dell’accomodamento.
Tutte le specie viventi sono dotate di una qualche forma di intelligenza, questa si manifesta in ogni specie in modi diversi, ciò che le accomuna è che tutte si adattano al loro ambiente e posseggono le capacità organizzative che rendono possibile l’adattamento. L’intelligenza umana è la forma evoluta assunta da attività di adattamento più primitive.
L’adattamento all’ambiente attraverso l’organizzazione (modalità che manterremo intatta per tutto il corso della vita), permette di costruire gradualmente le strutture cognitive (che invece variano e progrediscono continuamente attraverso il funzionamento). Ogni nuova organizzazione cognitiva proviene da quelle precedenti e ne genera altre più complesse e superiori.
Si può capire meglio la teoria dello sviluppo intellettivo partendo da un esempio biologico. Una forma fondamentale di rapporto con l’ambiente si ha quando l’organismo utilizza elementi dell’ambiente per nutrirsi. Il processo della nutrizione è un adattamento che prevede un’organizzazione. Il cibo viene assimilato prima dalla bocca, poi dagli organi preposti alla digestione i quali si adattano alle caratteristiche del cibo mettendo in funzione per esempio certi enzimi piuttosto che altri. Anche il cibo si adatta agli organi perchè cambierà consistenza una volta passato dalla bocca allo stomaco e di nuovo quando sarà lentamente digerito fino a diventare nutrimento per l’organismo. L’adattamento dell’organismo al cibo è denominato da Piaget accomodamento. L’alternarsi continuo di assimilazione e accomodamento del cibo all’organismo e dell’organismo al cibo, rappresenta una forma di adattamento biologico. Il tutto avviene secondo una precisa organizzazione (Flavell 1971).
Anche le funzioni cognitive implicano un’organizzazione che si manifesta in modo diverso a seconda dello stadio di sviluppo raggiunto: sono anch’esse caratterizzate dai processi dell’assimilazione e dell’accomodamento, processi che quando sono in equilibrio danno luogo ad un adattamento intellettuale. Qui l’assimilazione comporta che un elemento della realtà esterna venga interpretato in base a un’organizzazione cognitiva esistente, la quale permette di conoscerlo e di attribuirgli un significato e l’accomodamento consiste nel modificare l’organizzazione cognitiva in base alle esigenze che la realtà esterna impone.
Se un bambino per esempio entra in contatto per la prima volta con un anello appeso a una corda, lo guarderà, lo toccherà,, lo afferrerà (assimilazione) seguendo uno schema assimilatorio imparato in precedenza con altri oggetti, nello stesso tempo imparerà (accomodamento), che gli oggetti a forma di anello si possono succhiare e toccare in maniera un pò diversa da quelli succhiati e toccati in passato.
Il cambiamento strutturale conseguente a questa esperienza, renderà possibili ulteriori accomodamenti agli oggetti diversi con cui il bambino entrerà in contatto successivamente i quali renderanno possibili altri cambiamenti e così via. Ogni nuova conoscenza è possibile solo grazie alle precedenti e ne rende possibili altre più complesse e superiori (Flavell 1971).
Poiché le strutture cognitive non sono statiche, si possono verificare riorganizzazioni cognitive interne, anche in assenza di stimoli esterni.
La conoscenza però, non è determinata secondo Piaget tanto dall’essere sottoposti passivamente ad eventi del mondo esterno, come sostenevano i comportamentisti, ma è soprattutto il risultato di un’attività dell’individuo sull’ambiente.
(segue)