La scelta delle vacanze è condizionata dallo stato d’animo del momento, che deriva a sua volta dalla stabilità delle relazioni significative (relazioni di coppia, relazioni con la famiglia d’origine, ecc). Se le nostre relazioni sono stabili e sicure, ci si può avventurare verso l’esplorazione di nuovi scenari, più o meno lontani fisicamente e culturalmente da quelli abituali.
Se i nostri punti di riferimento sono meno stabili e sicuri e siamo preoccupati per qualcosa o addolorati (partner instabili o inaffidabili, separazioni in corso, genitori anziani e/o malati, figli in fuga, ecc) è più facile che si scelgano vacanze meno movimentate, in scenari più noti e prevedibili, a volte giustificando la scelta con motivazioni economiche, altre volte no. Sono vacanze che forse non avranno l’effetto di ricaricare completamente la mente, ma avranno perlomeno il merito di non stressarla ulteriormente.
Tutto questo vale se si è in diretto contatto con se stessi e con i propri sentimenti più profondi.
Altro succede se si è distanti da sé e si è perso, anche temporaneamente, il contatto con il proprio sé e le proprie emozioni, che vengono messe da parte perché fanno paura. Si potrebbero mettere in atto allora meccanismi di evitamento, attraverso esplorazioni compulsive, che hanno lo scopo di tenere lontani dalla quotidianità e da se stessi, da quelle emozioni che fanno paura o che non si riescono a focalizzare o comprendere.
Se la vita coniugale è in crisi, o si è interrotta una relazione sentimentale inaspettatamente, subendo una separazione non voluta, ci si ritrova ad affrontare vari aspetti. A cominciare dal percorso che ha portato alla rottura, alle responsabilità che si ritiene di doversi o non doversi attribuire, ai sentimenti di stupore, perdita, inadeguatezza, solitudine, a quanto tutto influisca sull’autostima.
La prospettiva delle vacanze estive può rappresentare un incubo ouna risorsa. ……
leggi tutto il post su Il Fatto Quotidiano