Cibo, Corpo, Luogo tra natura e cultura
Liceo Scientifico Statale Francesco d’Assisi
Sede Succursale – Via Castore Durante, 11 – Roma
Martedì 22 Maggio 2012
Io cercherò di portare l’attenzione sugli aspetti psicologici implicati in questi argomenti.
Dal sondaggio emerge una popolazione fondamentalmente nella norma statistica, io invece vorrei focalizzare l’attenzione su alcuni dati che si pongono ai lati della norma e che rimandano poi a specifici comportamenti.
l primo dato riguarda la distribuzione della popolazione in base a criteri di peso: il 13% della popolazione si distribuisce ai lati della norma, una piccola parte di questi (3%) è tendenzialmente sottopeso, una parte più grande (10%) è tendenzialmente a rischio di sovrappeso o sovrappeso. Quali atteggiamenti alimentari possono sostenere questi dati?
Una prima risposta arriva da un altro dato del sondaggio: il 10% degli intervistati utilizza il cibo e il mangiare come attività consolatoria di fronte a certe emergenze emotive.
In generale il cibo viene usato come attività compensatoria qualche volta, nel 42% dei casi, a conferma del fatto che il cibo rappresenta molto di più del valore nutritivo che apporta: in un ulteriore 10% dei casi però assume caratteristiche più marcate e impulsive, l’atto del mangiare è meno volontario e consapevole, potremmo ipotizzare che è anche meno legato a stimoli di fame e sazietà.
Un’altra risposta utile riguarda il controllo costante del peso e della qualità e quantità di cibo da assumere: più del 30% degli intervistati controlla il suo peso spesso o sempre e il 25% programma con precisione spesso o sempre, quanto e cosa mangia.
Possiamo ragionevolmente considerare che l’utilizzo del cibo come attività compensatoria sia maggiormente appartenente a chi è tendenzialmente in sovrappeso e il controllo dell’assunzione di cibo appartenga maggiormente a chi tende ad essere sottopeso e che ci possa essere una tendenza intermedia che oscilla tra questi due opposti.
Come possiamo spiegare questi atteggiamenti?
Lasciamo però un attimo la domanda in sospeso perché c’è un altro dato su cui voglio focalizzare l’attenzione, riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’alcool: il 35% della popolazione dichiara di bere alcoolici in compagnia e 3/4 di questi dichiarano di aver esagerato più di una volta o spesso.
Perché? Quali possono essere gli aspetti psicologici che sono alla base di certi comportamenti alimentari (di maggiore o minore controllo) e di certi atteggiamenti di fronte all’alcool? Hanno qualcosa in comune?
Per affrontare la questione dobbiamo considerare le caratteristiche di chi ha partecipato al sondaggio. Dal momento che la popolazione intervistata appartiene ad una specifica fascia di età, consideriamo gli aspetti caratteristici di questa fase evolutiva adolescenziale..
Il cambiamento che avviene durante lo sviluppo puberale, comporta una revisione totale dell’identità corporea. Il passare piuttosto rapidamente da un corpo infantile ad un corpo adulto genera fisiologicanete estraneità e inadeguatezza, ci si confronta continuamente con gli altri, nessuno è mai soddisfatto del proprio corpo. La maturazione del sistema nervoso consente poi un cambiamento di atteggiamento nei confronti della realtà che viene relativizzata, come anche vengono relativizzate le immagini genitoriali. Sono passaggi inevitabilmente destabilizzanti.
E’ un periodo di generale sensibilità e vulnerabilità in cui il giudizio la considerazione e il riconoscimento da parte degli altri assumono un’importanza particolare e dove l’insicurezza, i sentimenti di inadeguatezza e la vergogna sono all’ordine del giorno.
Durante questo passaggio si inseriscono inevitabilmente importanti eventi di vita che magari risultano difficili da gestire e alcune condotte possono risentirne.
L’inserimento in una nuova scuola, l’esordio sentimentale, la fine di una relazione o di un’amicizia, un insuccesso scolastico, un’atmosfera familiare instabile o conflittuale,…possono fare da stimolo e il cibo può diventare veicolo di gestione di frustrazioni che derivano da altre aree, o diventare mezzo di delimitazione degli spazi reciproci all’interno delle relazioni familiari, a volte può rappresentare l’unico argomento di relazione tra genitore e figlio/a (questo a volte avviene anche per lo studio e l’utilizzo del computer).
Nutrirsi troppo o troppo poco ha poi sul piano corporeo quelle conseguenze che vengono messe in rapporto con la possibilità/impossibilità di entrare in relazione con gli altri: amici, partner, con un’inversione totale dei rapporti di causa-effetto: sono sovrappeso o non abbastanza magro per propormi agli altri, mi sento inadeguato.
I sentimenti di inadeguatezza vengono attribuiti all’immagine corporea, piuttosto che al delicato momento evolutivo o a certe insicurezze personali.
In altri casi forse il problema è spostato poco più avanti, non è l’immagine corporea a frenare, ma le proprie competenze relazionali. L’individuo ha l’impressione di non sapersi muovere in mezzo agli altri, di non conoscere le regole che sono alla base degli scambi sociali e che queste non si possano apprendere. Allora ci si deve aiutare con qualcosa avendo il senso di potersi proporre solo se si soddisfano determinati standard di prestazione.
Abbiamo detto che il sondaggio rileva che soprattutto in compagnia si tende a bere alcoolici e ad eccedere, è un dato che sicuramente definisce l’alcool come importante fattore di condivisione, ma anche come importante strumento di gestione della fatica dell’impegno sociale.
L’alterazione nel comportamento alimentare e nell’assunzione di alcool, sembrano accomunati da sottostanti sentimenti di inadeguatezza e di non essere all’altezza di.
Secondo Bowlby sono sentimenti abbastanza caratteristici dell’attaccamento ansioso.
Psichiatra e psicoanalista inglese del secolo scorso, J.Bowlby sviluppa una teoria dell’attaccamento a partire dagli anni Quaranta.
Secondo la sua teoria, ogni individuo sviluppa legami di attaccamento con le figure familiari di riferimento, di solito ma non necessariamente con la madre. Il comportamento di attaccamento ha lo scopo di ottenere e mantenere la vicinanza di una figura rassicurante e protettiva ogni volta che ci si senta vulnerabili o minacciati nella propria incolumità. E’ un comportamento innato che rimane attivo tutta la vita anche se opera con maggiore intensità nei primi anni quando la vulnerabilità ai pericoli ambientali è maggiore.
Ogni individuo sviluppa un suo caratteristico stile di relazione a cui corrispondono interiormente dei modelli operativi interni che sono fondamentalmente mappe su noi stessi, gli altri e la relazione che ci lega.
Relazioni di attaccamento poco sicure e poco accettanti, possono produrre modelli operativi interni inefficaci.
I modelli operativi sviluppati all’interno di specifiche relazioni di attaccamento, vengono poi generalizzati alle altre relazioni, dalle quali ci si aspetta lo stesso trattamento: accettazione se si è sperimentata accettazione, imprevedibilità se si è sperimentata imprevedibilità, insicurezza, rifiuto….
Se non si è potuta costruire un’adeguata rappresentazione di sé, essere all’altezza della situazione, per esempio attraverso una certa immagine corporea, o relazionale, è un tentativo di aderire a quelle che si ritiene possano essere le richieste e le aspettative esterne allo scopo di massimizzare la possibilità di ottenere dagli altri una risposta positiva, accogliente, accettante, e/o di minimizzare la possibilità di una risposta negativa.
Il senso di non riuscire ad aderire a queste aspettative può stimolare forme di evitamento che possono andare dal reale evitamento del confronto sociale (non ci si mette proprio nelle situazioni di esposizione) al rifugio in stati di coscienza alterati (attraverso alcool o sostanze) che consentono di entrare nelle situazioni sociali con minore sofferenza o incertezza. E’ una strategia che risolve il problema contingente, ma non modifica i sentimenti di inadeguatezza e incapacità sociale anzi toglie all’individuo anche quel poco senso di competenza che ha.
Ricapitolando: le condotte alterate nell’assunzione di cibo e alcool tendono ad essere affrontate come problemi in sé e risolti attraverso strategie di controllo e soppreasione, mentre dalla nostra analisi emerge che rappresentano più la messa in scena, di problemi che nascono da un’altra parte e perciò una volta focalizzati vanno inseriti in un contesto più ampio che consideri l’individuo nella sua complessità e In quanto tentativi di soluzione di problemi relazionali, vanno più capiti che controllati o eliminati, ferma restando naturalmente la priorità delle condizioni di salute.
Ogni ’individuo ovviamente deve prendere consapevolezza della propria situazione e fare attenzione ad alcune cose: se si passa troppo tempo a preoccuparsi per il proprio aspetto, o per le proprie competenze e per questo si evitano attività desiderate, se tutte le altre aree tendono a perdere di significato o a risentirne, se si fa spesso ricorso all’alcool per reggere l’impegno sociale, se insomam il tutto interferisce con il raggiungimento degli obiettivi personali allora è bene provare a riflettere e capire dov’è il problema, c’è forse qualcosa che rischia di rimanere indietro.
Parlare e condividere, confrontarsi con altri ritenuti affidabili, ha in genere un effetto positivo, terapeutico: quanto meno offre un’alternativa all’autoreferenzialità e ai meccanismi di autoinganno.