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Quando i ragazzi sono troppo presi dal gioco, molti genitori ritengono che la cosa migliore sia toglierglielo. Ma se si interviene senza aver capito qual’è la funzione del gioco, si rischia di stimolare reazioni difficili da gestire e di lasciare il ragazzo senza strumenti per fronteggiare/compensare il disagio che è all’origine.

E’ quello che è successo a Manfredi, (le brusche cadute dell’umore), quando gli è stata tolta la Play. Manfredi è bravo nel gioco, ha acquisito prestigio nella comunità virtuale, mentre in quella reale ha qualche difficoltà: non esce con i compagni di classe, ha lasciato il basket perché non si trovava più bene nel gruppo. Secondo la madre, se con il gioco sta compensando qualcosa, questo è il sentimento di inadeguatezza per il suo aspetto fisico, non è molto alto e ha le imperfezioni della fase di passaggio.

Manfredi non va di solito a casa degli altri anche se è invitato. In realtà non ha molta libertà dalla famiglia, non gli è consentito uscire la sera, mentre molti dei suoi compagni già lo fanno, nel quartiere, così rimane indietro nelle relazioni. I genitori hanno paura a concedere troppa libertà. Nel gioco invece può muoversi come vuole. Quando sua madre glielo ha sequestrato per l’ennesima volta, contrariamente alle volte precedenti, ha avuto una reazione violenta, ha sentito minacciato il suo eden e la sua libertàvirtuale. Sua madre ha avuto un malore quando lo ha visto così aggressivo, non riconosceva suo figlio nel ragazzo che aveva davanti.

Paolo è stato forzato nella scelta della scuola, avrebbe scelto un indirizzo artistico, ma non era approvato dalla famiglia. Tra i genitori le cose non vanno molto bene, spesso non si parlano e l’atmosfera in casa è tesa, la madre soffre di un disturbo psichico di una certa importanza. Paolo ha anche una serie di problemi legati alla crescita che la famiglia sta affrontando in modo forse troppo duro: apparecchio ortodontico, busto, fisioterapia, ecc.. il suo senso di proponibilità sociale ne risente parecchio. Rifugiarsi nel gioco rappresenta un’evasione dal disagio della sua realtà familiare, scolastica, una fuga dai sentimenti di inadeguatezza .

Mentre gioca invece si sente un Dio, ma più si sente un Dio in rete, più aumenta il sentimento di inadeguatezza fuori. Ad un certo punto ha esagerato, per aumentare il punteggio e rafforzare la sua autostima virtuale ha cercato delle scorciatoie ed è stato squalificato, dovrà stare fermo per un po’.

Consideriamo dunque l’eccessivo utilizzo dei videogame da parte dei ragazzi, come un tentativo di soluzione delle crisi personali. Alla base delle evasioni virtuali di Lorenzo, Manfredi e Paolo ci sono le rispettive frustrazioni reali e i sentimenti che riescono a provare nel gioco li sostengono nella vita reale.

C’è da dire che i nuovi videogiochi sono irresistibili anche per chi non deve evadere dalle frustrazioni. Studiati e costruiti con grande cura, hanno molti strumenti per coinvolgere un giocatore e stimolare quello che viene chiamato l’effetto flow, cioè l’assorbimento totale nel gioco. 

Secondo S.Triberti e L.Argenton (2013), il gioco riesce ad emozionare perché stimola nel giocatore istinti primordiali quali l’esplorazione, il piacere per la distruzione, il desiderio di accumulare, di riempire uno spazio vuoto o di sentirsi Dio. Così vengono attivate reazioni emotive pari a quelle vissute a partire da stimoli reali: senso di benessere, felicità, realizzazione personale, ecc… L’attività ludica mette alla prova il giocatore spingendolo al limite delle proprie capacità e istigandolo continuamente a superarsi.

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tratto da: Attaccamenti a Scuola di Mattioli, Di Marzo, Febi, Martirani – edito da Alpes Italia – Roma – 2017