Le tesi di Freud che in Europa otterranno credito solo dal 1919, ricevono una buona accoglienza negli Stati Uniti dove cominciano a diffondersi dal 1909.
Sempre negli Stati Uniti nello stesso periodo, vengono tradotti e resi noti gli esperimenti di Pavlov sugli animali. Essi forniranno le basi per la teoria di una nuova scuola che si andava formando in America, la psicologia comportamentista, che rappresenterà il capovolgimento più estremo dell’ assunto di base della psicologia come disciplina che studia l’anima (psiche in greco vuol dire anima, psicologia quindi significa studio dell’anima). Secondo il comportamentismo più radicale, è di pertinenza della psicologia lo studio del solo comportamento osservabile. Viene circoscritto il campo della ricerca all’osservazione del comportamento animale e umano, negando importanza ai fenomeni della coscienza e al metodo dell’introspezione fino a quel momento utilizzato per studiarla poiché entrambi per loro natura non passibili di verifica oggettiva.
Questa posizione così estrema è giustificata soprattutto da due obiettivi: da una parte l’intenzione di dare alla psicolgia uno statuto simile a quello delle scienze esatte liberandola dall’impostazione filosofica, dall’altra l’esigenza, dato l’inserimento sistematico delle macchine nel ciclo produttivo, di sapere, attraverso l’osservazione/misurazione del comportamento, ciò di cui un individuo è capace e quali sono le sue potenzialità sul piano del rendimento produttivo.
Il comportamentismo nasce ufficialmente nel 1913, anno in cui il suo caposcuola J.B.Watson pubblica l’articolo “La psicologia dal punto di vista comportamentista”, anche se già nei primi anni del Novecento altri studiosi americani avevano criticato il concetto di coscienza utilizzato dalla psicologia introspezionistica praticata dagli strutturalisti e avevano cominciato a considerarla come una reazione individuale a stimoli particolari dell’ambiente. Watson è stato l’organizzatore e il propugnatore di idee e temi che già stavano maturando.
Il metodo introspettivo secondo Watson non era attendibile soprattutto perché le informazioni che ne risultavano non erano passibili di verifica scientifica da parte di osservatori esterni dal momento che i dati introspettivi erano del tutto privati, personali, soggettivi. Bisognava usare metodi più oggettivi che permettessero a più osservatori di arrivare a conclusioni simili. Il comportamento sembrava più adatto della coscienza ad essere osservato con metodi scientifici.
Watson, ispirato da principi di uguaglianza e dalla fiducia nelle possibilità della personalità umana di modificarsi in positivo, riteneva che il bambino nascesse senza istinti, intelligenza o altre doti innate e che è soltanto l’esperienza successiva a caratterizzare la sua formazione psicologica.
Questo presupponeva che si potesse influenzare lo sviluppo di una persona controllando le esperienze a cui viene esposta. Watson era così convinto delle sue idee, da dichiarare che se avesse potuto crescere una dozzina di bambini sani, ne avrebbe potuto fare dei buoni dottori, o magistrati o artisti o mercanti, indipendentemente dalle loro ipotizzate inclinazioni naturali.
Secondo questa posizione, l’uomo è totalmente prodotto delle sue esperienze per cui diventa importante lo studio dell’apprendimento, cioè del modo in cui l’uomo acquisisce, attraverso l’esperienza, il suo repertorio di comportamenti: dal comportamento motorio a quello verbale, a quello sociale e così via.
Come impariamo a comportarci in un certo modo? Abbiamo detto che secondo il comportamentismo di Watson questo dipende dagli stimoli a cui siamo sottoposti, perciò le cause del nostro comportamento sono da ricercarsi nell’ambiente e non all’interno dell’organismo.
(segue)