da patrizia mattioli | Gen 21, 2016 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Scuola, un intreccio di relazioni
Per Fabio, studente del primo anno, la prof lo ha preso di mira; Per Anna, insegnante, Fabio è superficiale e non si applica; Per Gianni, padre di Fabio l’insegnante non capisce suo figlio. Studenti, insegnanti, genitori, tre modi di vedere le cose. Stessa situazione, interpretazioni diverse. La scuola è un intreccio di relazioni in cui i protagonisti sono alla continua ricerca di un linguaggio comune per intendersi. Non sempre ci riescono, qualche volta chiedono aiuto allo psicologo. Ne parlo nel mio libro Uno Psicologo nella Scuola, edito da Alpes Italia, in uscita in questi giorni.
Chi sono studenti, insegnanti e genitori?
Gli studenti della scuola superiore sono adolescenti con tutti i problemi comuni a questa fase di crescita: l’insicurezza, la paura del giudizio, la vergogna, il bisogno di accettazione e conferma, il bisogno di essere guidati senza sentirsi legati, ecc… Capire i loro vissuti aiuta a comprendere perché per esempio perdono la motivazione allo studio, o perché invece di andare a scuola passano la mattinata sugli autobus, o perché non riescono a oltrepassare il portone di casa colpiti da terribili mal di pancia…
Sono ragazzi sensibili, all’atteggiamento dei compagni, alle aspettative dei genitori, al giudizio degli insegnanti. Dagli insegnanti si aspettano un riconoscimento prima come persone che come studenti, non si accontentano di sentirsi confusi tra i tanti nella classe.
Gli insegnanti entrano a scuola con i temi comuni a chi sceglie questa professione: il desiderio di guidare e incidere sulle giovani menti, di essere riconosciuti positivamente dagli studenti, la paura di deludere le aspettative (di alunni, colleghi, genitori, dirigenti) date le sfaccettate aspettative riposte su di loro. A volte il carico è troppo alto.
Ci sono le storie. Se è naturale chiedersi quale situazione familiare abbia alle spalle uno studente soprattutto se si fa notare, lo è di meno per l’insegnante perché è un luogo comune che gli insegnanti debbano essere obiettivi e imparziali e lasciare fuori dalla classe le proprie questioni private. Poi ci sono i genitori che oggi funzionano meglio come “base sicura” che come educatori guardiani dei valori d’appartenenza, come invece erano i genitori di qualche tempo fa.
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da patrizia mattioli | Nov 3, 2014 | Blog su Il Fatto Quotidiano
L’insonnia è il segnale che ci sono questioni personali non risolte. Per alcuni più che per altri e in certi periodi più che in altri può essere difficile abbandonarsi al sonno e rinunciare al controllo diurno. Dormire è una pausa necessaria a recuperare energie: mentre i muscoli sono completamente passivi, l’attività del cervello è la stessa dello stato di veglia, anche se si manifesta in modi diversi, per esempio attraverso i sogni.
Sappiamo tutti che le leggi che regolano i sogni sono molto diverse da quelle dell’attività diurna: i rapporti di causa-effetto, i concetti di spazio, di tempo, di identità sembrano sfuggire a tutte le regole della coerenza. C’è qualcosa però che collega questi due mondi: le emozioni. Esse rappresentano la continuità tra la veglia e il sonno: si manifestano durante il sogno attraverso la messa in scena di immagini stimolate dalla quotidianità, ma con significati in linea con lo stato d’animo più o meno consapevole che si è lasciato.
L’insonnia è un segnale preciso che la psiche trasmette, il segnale di qualcosa in corso: emozioni da elaborare, impegni difficili da affrontare…la rata del mutuo o le bollette da pagare possono essere oggi problemi molto concreti che tengono svegli e che solo la disponibilità economica sembrerebbe poter risolvere, ma a volte andare oltre il problema concreto, considerare lo scenario negativo che preoccupa, relativizzarlo oppure preparare strategie di soluzione potrebbe avere risvolti inaspettati e far recuperare momenti di sonno. A volte il problema non sta nella negatività degli scenari possibili, ma in quanto ce ne rendiamo conto, in quanto ne siamo consapevoli. Prendere consapevolezza di un problema, lo sappiamo, è la strada principale per risolverlo.
Si può essere preoccupati dall’avvicinarsi del momento di andare a letto, proprio per la difficoltà di addormentarsi e/o di sognare, che poi è la difficoltà di trovarsi da soli con i propri pensieri, di gestire stimoli ed emozioni interne in un momento in cui gli stimoli esterni sono ridotti, di fare i conti con se stessi. Per chi fa un lavoro continuo di allontanamento da sé delle proprie emozioni e della consapevolezza, il momento di andare a dormire è critico perché c’è il rischio di rincontrare i propri fantasmi.
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