Coronavirus, l’angoscia non scompare tramite strade ‘concrete’

Coronavirus, l’angoscia non scompare tramite strade ‘concrete’

Coronavirus, l’angoscia non scompare tramite strade ‘concrete’: la psicologia può fare la differenza

Qualche giorno fa ascoltavo un programma radiofonico in cui veniva intervistata una collega sui temi del momento. Alla fine dell’intervista, nello spazio dedicato agli ascoltatori, interveniva una signora che aveva dovuto chiudere il suo negozio a causa del lockdown. La signora esprimeva la sua angoscia rispetto all’effettiva possibilità di proseguire le vendite online, piuttosto che chiudere definitivamente l’attività: visto che ci sono grandi come Amazon che sono molto forti in questo campo, le sembrava di avere ben poche probabilità di sopravvivere come attività.

Avrebbe voluto chiedere alla psicologa ospite come affrontare questa sua angoscia, che cosa potesse dire a se stessa per migliorare il suo stato d’animo. Il conduttore, prima della psicologa, le rispondeva che il suo problema in realtà non aveva niente di psicologico perché era un problema oggettivo, concreto, pertanto aveva bisogno di una soluzione concreta. L’unica cosa che la signora poteva fare, secondo lui, era cercare strade concrete che le dessero una prospettiva di soluzione e solo attraverso quelle avrebbe potuto trovare la serenità.

La risposta del conduttore è molto semplice, ovvia, molti risponderebbero così, in realtà è vera solo in parte. Indubbiamente un problema concreto ha bisogno di una soluzione concreta, ma allora la domanda è: se la questione è così ovvia come mai le persone non ci riescono? Perché alcune persone arrivano anche a gesti estremi di fronte a problemi analoghi? Il problema è concreto solo per chi lo vede dall’esterno, ma non per chi lo vive e ha un ricaduta forte sul piano psicologico personale ed è quella che ostacola o rallenta la strada della soluzione.

Al di la del dramma, della tragedia, che non si sceglie, quello che fa la differenza è quello che le persone fanno con le cose che accadono loro, è come le persone vivono psicologicamente la propria esperienza. Quello che fa la differenza è quello spazio di elaborazione personale che c’è tra lo stimolo (la tragedia, il dramma, il lockdown,…) e la risposta ad esso, che è in relazione al significato che ognuno gli attribuisce. E’ questo che decide se l’evento subìto diventa un macigno che affossa oppure un momento di ripartenza, se il dramma trova un senso all’interno del proprio momento di vita o rimane solo un evento esterno sfortunato.

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Halloween, quest’anno si dovrà giocare con la fantasia

Halloween, quest’anno si dovrà giocare con la fantasia

Halloween, quest’anno si dovrà giocare con la fantasia

La festa di Halloween affonda le sue origini probabilmente nel passato remoto dell’Irlanda e delle tradizioni di popoli antichi come i Celti che festeggiavano il momento di passaggio tra la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno. I fenomeni migratori hanno portato la festa negli Stati Uniti dove ha assunto la forma che conosciamo, perdendo il suo significato originario e affermandosi di più come evento consumistico. Con modalità simili è diventata popolare anche in Italia negli ultimi anni.

Anche se le origini non ci appartengono e molti la contestano per questo, i bambini sembrano apprezzarla molto, sia per il divertimento, sia perché è un’occasione per prendersi gioco delle proprie paure, di stare per un giorno dall’altra parte e osservare gli oggetti della paura da un altro punto di vista. Un’occasione di riscatto dunque, alle loro più profonde insicurezze. Anche se il Covid ha reso le cose più difficili, con un po’ di fantasia si troverà un modo per festeggiare anche quest’anno.

Le paure dei bambini sono potenzialmente infinite, molto legate alle storie individuali, ma ne esistono alcune, considerate specifiche dell’età evolutiva, che rappresentano una tappa naturale dello sviluppo, non dipendenti da traumi o da un’educazione sbagliata.

La paura del buio, con i mostri che l’accompagnano, è tra queste. Al buio tutto appare diverso, il bambino ha paura che ci siano mostri in agguato negli armadi o sotto il letto, ha paura dei fantasmi, delle streghe, degli zombie, del lupo cattivo o dell’uomo nero… il buio rappresenta per lui l’assenza di punti di riferimento e la paura dell’ignoto, di ciò che è sconosciuto, interno o esterno a sé.

Il mondo interno del bambino è fatto di preoccupazioni e insicurezze, di sentimenti di fragilità che vengono proiettati all’esterno e prendono la forma di figure fantastiche in movimento, perché per i bambini tutto è animato.

Spettri e mostri rappresentano a volte anche i cattivi sentimenti: quando provano rabbia o collera, i bambini mascherano queste emozioni sotto altre forme di pericolo, prendendo in prestito oggetti della quotidianità e facendo convergere su di essi le loro emozioni confuse. Le paure del buio e dei mostri nella maggior parte dei casi spariscono naturalmente quando, crescendo, il bambino comincia a riconoscere e a gestire meglio le proprie emozioni……..

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Il coronavirus tiene lontani psicologi e pazienti, ma la terapia online copre le distanze

Il coronavirus tiene lontani psicologi e pazienti, ma la terapia online copre le distanze

Il coronavirus tiene lontani psicologi e pazienti, ma la terapia online copre le distanze

Le restrizioni sociali imposte dal governo per contenere i rischi di contagio dal virus Covid-19 hanno cambiato le nostre abitudini e questo ha avuto una ricaduta anche nell’ambito delle cure psicologiche. Anche se la psicoterapia non rientrava nel novero delle attività sottoposte a restrizione, si è creato da subito un allineamento nella convinzione sia dei pazienti che dei terapeuti che fosse auspicabile il venire meno della presenza anche in esse, dato il momento, e che si potesse trasferire online lo spazio di incontro.

Non tutti hanno accettato l’alternativa: alcuni pazienti e terapeuti hanno preferito fare una sospensione e rimandare le cure al “dopo emergenza Covid”, per vari motivi. Per quel che riguarda i pazienti, c’è chi non apprezza il rapporto con la tecnologia e si sente poco a suo agio a raccontarsi in uno spazio virtuale, e chi non riesce a ritrovare uno spazio di privacy adeguato a casa, se abita in un piccolo appartamento che condivide con un partner, con i genitori, con i fratelli o con i figli.

Scrivere è il modo migliore per capire (e cambiare)il proprio mondo

Scrivere è il modo migliore per capire (e cambiare)il proprio mondo

La psicoterapia aiuta ad affrontare molteplici problemi, disturbi e difficoltà personali. Attraverso il colloquio e altri strumenti gli psicoterapeuti cercano di innescare il cambiamento.

Uno strumento molto utilizzato nella terapie psicologiche è la scrittura. 

Nei compiti a casa, gli homework, il paziente deve svolgere una serie di esercizi che amplificano il lavoro fatto durante la seduta. In particolare gli esercizi di autosservazione e la trascrizione dell’autosservazione stessa, costituiscono l’asse portante di molte psicoterapie di stampo cognitivista e cognitivo comportamentale.

E’ riconosciuto da più parti che la scrittura ha un ruolo importante nel favorire uno stato di equilibrio nell’individuo. 

Per sua natura, la mente umana cerca costantemente di comprendere quello che le accade. Siamo ossessionati da un’esperienza negativa proprio per il costante tentativo di comprenderla. Il modo migliore per farlo é trasformarla in parole. Al contrario il non farlo porta più facilmente a pensarci in continuazione, con un dispendio di energie mentali non impiegabili in altri progetti.(Pennebaker e Joshua).

Con l’invenzione della scrittura qualche migliaio di anni fa, i segni perdono il rapporto con le cose per legarsi ai suoni e il linguaggio comincia ad essere visualizzato. Con la visualizzazione avviene la separazione tra conoscente e conosciuto, tra la persona che pensa e il prodotto del suo pensiero.

Lo spazio tra chi parla e quello che dice, permette la crescita di un sé, di un senso di identità. Se prima dell’alfabeto e della scrittura, il problema principale era quello di immagazzinare e gestire l’informazione, con la scrittura il problema principale diventa quello di comprenderne il significato perché quello che una persona scrive rimane scritto, indipendentemente dalla persona stessa. Con il problema del significato nasce una sorta di condivisione comune.

Il linguaggio introduce la capacità di strutturare l’esperienza in sequenze, cioè di costruire un racconto con il susseguirsi di fenomeni, di sequenzializzare.

La sequenzializzazione diventa cronologica e il tempo diventa un fattore causale dello svolgersi delle cose. Ogni passaggio determina il successivo e si crea una distinzione tra il mondo interno e il mondo esterno.

Lo spazio del Sè che si crea con la scrittura permette lo sviluppo di un linguaggio mentale in grado di articolare il mondo interno, mondo che però è sprovvisto di descrizione: diventa necessario dare una nome a emozioni, sensazioni, attitudini, interessi, metterli in relazione tra loro, e costruire categorie concettuali astratte, adatte a ogni epoca. (V.F.Guidano)

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Smartphone e videogames: l’ossessione per il gioco in rete – I parte –

Smartphone e videogames: l’ossessione per il gioco in rete – I parte –


Lo smartphone e i videogames, così come tutta la tecnologia, sono oggi parte integrante della quotidianità dei ragazzi: li divertono e li coinvolgono, tanto quanto preoccupano i loro genitori. Sono frequenti le richieste di consulenza su questo argomento.

Qualche esempio

Il padre di Lorenzo, terza media, chiede un colloquio perché vuole capire meglio cosa succede a suo figlio: da qualche tempo il suo rendimento scolastico è calato e Lorenzo sembra aver perso la motivazione alla scuola al punto che da alcuni giorni si rifiuta di andarci. Secondo il padre è tutta colpa dei videogiochi, ultimamente si è appassionato a uno in particolare, va con il cellulare in rete a giocare per ore, trascurando tutto il resto.

La mamma di Manfredi, terza media, è molto preoccupata perché suo figlio ha un rapporto morboso con i giochi elettronici. Il ragazzo è buono e introverso lei lo rimprovera spesso perché gioca troppo, lui si chiude in se stesso e piange.

Da qualche mese ha problemi a scuola. Hanno provato a togliere la Play Station sia per punizione, sia per togliere una distrazione dall’impegno scolastico, il risultato è stato innanzitutto una brusca caduta dell’umore in Manfredi. 

Hanno restituito la Play al miglioramento dei voti e di nuovo si è verificata un’immersione morbosa nel gioco e un nuovo peggioramento scolastico. L’hanno tolta di nuovo, altra caduta dell’umore. E’ diventato un tira e molla che non sembra portare risultati stabili.

Il padre di Paolo, anche lui terza media, è preoccupato per suo figlio perché nell’ultimo anno ha avuto un forte calo nel rendimento scolastico e un ritiro sociale notevole, non esce con gli amici, preferisce rimanere a casa a giocare in rete con l’x-Box. Fatica a riconoscere suo figlio che è sempre stato un leader in classe e ogni occasione era buona per uscire con gli amici. Pensa che sia stato il gioco a deviarlo.

Le reazioni dei genitori

Alcuni genitori assumono atteggiamenti diffidenti verso i videogiochi, la tecnologia e la rete e tendono ad attribuire ad essi le difficoltà che osservano nei loro figli. L’atteggiamento diffidente impedisce loro di conoscere i mezzi e i luoghi virtuali frequentati dai figli, così spesso non hanno un’idea di cosa essi facciano mentre sono concentrati sul cellulare, e tendono a valutare qualsiasi attività online come dannosa. Questa in realtà è una valutazione parziale.

Nello smartphone per esempio c’è tutto: la radio, la televisione, la rete, i libri, i video e tutti gli spazi social in cui i ragazzi possono incontrare gli amici e chattare con loro.

Il cellulare è ormai ritenuto uno strumento utile anche ai fini didattici, molti insegnanti oggi invitano gli alunni a visitare siti o pagine precise in classe, durante la lezione; a casa spesso lo consultano mentre fanno i compiti per ricercare materiali, fare traduzioni, io stessa ho utilizzato in più occasioni la “passione”dei ragazzi per lo smartphone, per somministrare questionari e rilevare sondaggi.

Se alcuni genitori sono diffidenti, ce ne sono altri che hanno con la tecnologia lo stesso rapporto che rimproverano ai figli, e risultano perciò poco attendibili quando li biasimano perché trascorrono troppo tempo in rete: criticano a parole quello che rafforzano con i fatti.

Si parla molto di quale sia l’impatto delle tecnologie sul sistema nervoso umano, particolarmente su quello delle fasce più giovani e quale differenza ci sia tra la generazione digitale e quelle precedenti. Molti studiosi sostengono la tossicità del digitale, ma senza digitale e senza internet perderemmo molte opportunità. E’ necessario evidentemente trovare una misura nel tempo da dedicarvi, se è difficile per un adulto, lo è di più per un ragazzo. 

 Lorenzo, Manfredi e Paolo, presentano comportamenti simili, tutti sono molto assorbiti dal gioco ed è facile attribuire a questo la causa dei problemi scolastici. Spesso le cose sono più complesse e il gioco più che la causa, è la forma che assume il disagio, il sintomo di un problema più ampio e come tale può essere la porta di accesso per la comprensione di ciò che ne sta alla base.

(segue)

tratto da: Attaccamenti a Scuola di Mattioli, Di Marzo, Febi, Martirani – edito da Alpes Italia – Roma – 2017