da patrizia mattioli | Apr 23, 2019 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Le pause didattiche per le festività sono una manna per gli studenti e un problema per i genitori. La rilevanza del problema è direttamente proporzionale all’ordine scolastico di frequenza: più l’ordine è basso, più i genitori sono in difficoltà.
Parliamo dei genitori di oggi che costruiscono famiglie prevalentemente nucleari, a volte monogenitoriali, che gestiscono per la maggior parte da soli l’impegno e le responsabilità della genitorialità.
La complessità della vita quotidiana rende necessaria una notevole flessibilità e intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri tendono oggi a lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alle madri. Le madri rinunciano in parte all’esclusività del rapporto con i figli per maggiori possibilità di realizzazione personale all’esterno della famiglia.
Questo cambiamento avviene non senza difficoltà da parte di entrambe le figure. Il tutto si regge su un fragile equilibrio in cui la scuola ha un suo ruolo e quando la scuola chiude l’equilibrio vacilla.
Le scuole chiudono per le festività, per i ponti, per le elezioni ecc.., quello che è appena iniziato dicono che sia il ponte più lungo della storia, le famiglie si sentono abbandonate a se stesse e devono far ricorso a tutte le risorse disponibili, spesso poche: non tutti hanno nonni (o zii, o parenti, o amici,..) che si offrono, o risorse economiche per soluzioni alternative (baby sitter, ludoteche, spazi ricreativi ..) così i momenti che dovrebbero essere di riposo per tutti, per i genitori sono spesso i più faticosi al punto che il rientro al lavoro può sembrare meno pesante.
Per i genitori è importante avere a disposizione reti di supporto adeguate, a cominciare dal nido e dalla scuola materna. La scuola in generale ricopre sempre di più un ruolo di base sicura, che affianca e sostiene la famiglia nel carico di responsabilità e nella costruzione del percorso educativo.
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da patrizia mattioli | Mar 15, 2019 | Blog su Il Fatto Quotidiano
Ragazzi come Lorenzo, che si calano da un balcone per evadere un divieto, accidentalmente cadono e si fanno male, sono l’incubo degli insegnanti che li accompagnano in gita. Loro (gli insegnanti), si prendono una grande responsabilità verso i ragazzi, verso le loro famiglie, verso la scuola. Anche se hanno fatto tutto quello che potevano, vivono un comprensibile senso di responsabilità e di colpa quando accade qualcosa, che condizionerà il rapporto futuro con le gite, fino a tenerli lontani da successivi accompagnamenti.
Con la vicenda di Lorenzo viene di mano approvare o per lo meno interpretare in maniera diversa la decisione del Consiglio d’Istituto della Scuola Media Ferrari di Massa di selezionare gli studenti che avranno diritto di partecipare al viaggio di istruzione in base al voto di condotta, visti i pochi insegnanti accompagnatori disponibili rispetto agli studenti prenotati, e la necessità quindi di lasciare alcuni di loro a casa.
Le scuole in realtà hanno sempre adottato questo criterio di selezione per le gite, non per necessità di numeri, ma generalmente per punire gli studenti indisciplinati e prevenire i rischi a questi legati. Ma la decisione della scuola di Massa ha comunque scatenato molte polemiche e messo a confronto pareri discordi. C’è chi sostiene la decisione della scuola perché ritiene che la gita debba essere considerata alla stregua di un premio, un rinforzo ai comportamenti ritenuti adeguati, e vede la selezione come un segnale educativo forte verso gli indisciplinati, oltre che un criterio utile per diminuire i rischi di non riuscire a gestirli in gita. Dall’altro lato c’è chi sostiene che la gita non è un premio ma una parte importante della didattica, un momento di istruzione, di socializzazione e di insegnamento di vita fuori dall’ambiente scolastico, che si pone perciò al di là del merito e dovrebbe essere accessibile a tutti senza esclusioni.
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da patrizia mattioli | Set 27, 2018 | Uncategorized
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da patrizia mattioli | Ott 23, 2017 | Blog OPL
Perchè le assenze?
Un tema che accomuna molti insegnanti è l’insofferenza verso il modo in cui gli studenti affrontano i loro doveri scolastici, secondo loro lo fanno in maniera superficiale, immatura, insufficiente. L’insofferenza più marcata comincia da quello più concreto di essere o meno presenti a scuola, cioè dalle assenze.
Per gli insegnanti, gli studenti sono troppo spesso assenti, lamentano l’assenteismo come pratica molto diffusa e si rammaricano che questa consuetudine abbia inevitabilmente ripercussioni sul programma di lavoro al momento di introdurre argomenti nuovi o di verificare l’apprendimento.
Le giustificazioni degli studenti, dalle più banali a quelle più importanti, non riescono in genere a modificare una convinzione di fondo degli insegnanti e cioè che la vera ragione di tante assenze è l’immaturità, lo scarso impegno scolastico, la scarsa voglia di lavorare.
L’atteggiamento assenteista sarebbe rinforzato dall’appoggio dei genitori che troppo spesso, per lo meno secondo gli insegnanti, non aiutano i figli a prendersi le loro responsabilità, ma anzi li proteggono e li assecondando coprendo le loro assenze.
Le relazioni scolastiche, come tutte le relazioni, sono rapporti di reciprocità affettivo-emotiva, e tutto ciò che avviene all’interno di questa reciprocità, rappresenta la forma che assume in quel momento quella relazione, possiamo perciò considerare l’assenza scolastica come un indicatore dell’andamento della relazione tra insegnante, studente e genitore in un determinato momento.
L’argomento assenze viene più facilmente studiato allo scopo di controllare e contenere il fenomeno e meno per comprenderlo. L’informatizzazione dei controlli, il calcolo e la classificazione delle assenze, le lettere di richiamo alle famiglie, caratterizzano un approccio basato sull’idea che l’assenza sia illegittima e messa in pratica da pochi, mentre i dati statistici più recenti dicono che le assenze di oggi sono numerose, ricorrenti e messe in atto da sempre un maggior numero di studenti.
Quali sono le cause più comuni del comportamento assenteista?
Se facciamo riferimento alla letteratura e all’esperienza lavorativa personale, possiamo provare a fare un elenco:
a) per alcuni studenti, l’assenza sembra essere una forma di demarcazione dalla famiglia, un modo per avere un periodo di tempo tutto per sé fuori dal controllo familiare; per altri è una forma indiretta di richiesta di aiuto: uno studente si assenta più o meno consapevole del fatto che le sue assenze non saranno ignorate.
b) per alcuni studenti il carico di lavoro sia a casa che a scuola è avvertito come eccessivo e qualche giorno di assenza consente loro di recuperare energie e rimettersi in paro con i programmi. Anche il numero elevato di materie qualche volta tiene gli studenti fuori dalla scuola: le troppe materie comporterebbero un apprendimento superficiale e meccanico, di quantità di informazioni considerate eccessive.
c) l’assenza è un modo per non essere fagocitati dal sistema e perdere di vista quelli che sono gli interessi personali.
d) un altro motivo sembra essere la noia. Secondo gli studenti, certi insegnanti non sanno trasmettere la passione per la loro materia, o meglio non sanno entrare in relazione con i propri studenti e la lezione si risolve in una sequenza di informazioni meccaniche difficili da acquisire.
e) la mancanza di uno spazio dedicato alla comunicazione e alla conoscenza reciproca, alla considerazione dei propri interessi e delle proprie caratteristiche personali, rende a volte lo spazio scolastico un luogo troppo stretto dal quale ogni tanto ci si deve allontanare.
f) infine e non certo per ultimo, il problema della valutazione, la paura del voto, di essere interrogati, di essere valutati. Il non saper/poter ancora distinguere tra voto (sulla prestazione) e giudizio personale (derivato dal voto).
da patrizia mattioli | Dic 14, 2016 | Blog OPL, Scuola
Identità genitoriali e valutazioni scolastiche
I genitori di Antonio sono arrabbiati con gli insegnanti del figlio, terzo anno di liceo scientifico: secondo loro lo perseguitano, lo riprendono in continuazione per il suo comportamento in classe, mentre lui dice di non fare niente di male.
L’insegnante di italiano è piuttosto insofferente al comportamento di Antonio. Il ragazzo non riesce a stare al suo posto e parla in continuazione con i compagni.
L’atteggiamento con cui si pone la famiglia nel rapporto con la scuola ha un ruolo importante nell’ambito delle dinamiche scolastiche e del progetto educativo sull’adolescente.
Vale la pena di aprire una parentesi sul profilo della coppia moderna che si trova oggi molto più spesso a gestire da sola il carico e le responsabilità della genitorialità. Gli attuali genitori si trovano a vivere esperienze nuove rispetto al passato. I disagi personali vissuti durante la propria crescita, le maggiori conoscenze della materia, i veloci cambiamenti sociali li hanno persuasi di non poter riproporre ai loro figli i valori o i modelli genitoriali che hanno vissuto loro stessi nella famiglia di origine.
Soprattutto la complessità della vita quotidiana nella società a cui apparteniamo, rende necessaria una notevole flessibilità e intercambiabilità di ruoli all’interno della famiglia: i padri tendono oggi a lasciare spazio in alcune delle aree che erano di loro esclusiva competenza, dedicandosi a quelle funzioni affettive che in passato erano delegate quasi totalmente alla figura materna. Le madri rinunciando in parte all’esclusività del rapporto con i figli hanno maggiori possibilità di realizzazione personale all’esterno della famiglia. Questo non senza difficoltà da parte di entrambe le figure.
I nuovi ruoli che si definiscono all’interno della famiglia moderna non implicano semplicemente che i genitori fanno cose diverse da prima, ma anche che gli attuali ruoli non sono sostenuti da modelli di riferimento con cui identificarsi, come invece avveniva in passato. I genitori di oggi risolvono il loro compito provando e riprovando, andando per tentativi ed errori. I modelli dei propri genitori sono considerati ormai inadeguati. Questo non avere punti di riferimento può avere riflessi negativi sul piano dell’identità genitoriale, che ne risulta più incerta.
Un’identità genitoriale incerta è certamente più fragile e vulnerabile, ha più difficoltà a mettere il limite tra il sé personale e quello dei figli, è meno propensa a confrontarsi con il mondo esterno, che può anche essere vissuto con diffidenza.
Cosa comporta questo nel rapporto tra scuola e famiglia? Alcuni fatti di cronaca avvenuti alla fine dello scorso anno scolastico, sono stati molto sottolineati dai media tanto da far pensare a un conflitto tra categorie. Ma è davvero così? È vero che è in corso una guerra tra genitori e insegnanti?
Se davvero ci fosse sarebbe una guerra tra poveri.
Quello che accade è che l’incertezza sul piano dell’identità genitoriale e l’ombra di diffidenza di cui parlavo prima può entrare nella scuola e condizionare il rapporto con gli insegnanti. È una diffidenza legata alla difficoltà di distinguere tra sé e figlio e soprattutto alla paura di essere indirettamente valutati. Questa diffidenza può essere superata solo se e quando il genitore sente, che il suo operato di genitore non sarà giudicato.
Il giudizio di un insegnante può essere all’origine di penose oscillazioni sul piano dell’identità genitoriale, probabilmente per questo a volte gli insegnanti vengono screditati e di fronte ad un loro giudizio critico il genitore tende a schierarsi dalla parte del figlio proteggendolo, proteggendo in fondo anche se stesso.
Il colloquio con un insegnante è un momento importante e delicato in cui il genitore può sentire in ballo l’adeguatezza o inadeguatezza del suo fare il padre o la madre.
D’altra parte gli insegnanti oggi devono continuamente argomentare e giustificare il loro giudizio su un alunno, non è più dato per buono di diritto e hanno spesso l’impressione di doversi difendere dalle accuse d’imparzialità e anche loro a volte possono sembrare diffidenti.
Ho assistito più volte a colloqui difficili tra insegnanti e genitori, i genitori hanno l’impressione che il proprio figlio venga perseguitato o non capito, gli insegnanti hanno l’impressione di doversi difendere dalle accuse: ognuno si irrigidisce su una posizione difensiva.
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