IL PASSAGGIO ALLA SCUOLA SUPERIORE: Il Progetto ’Accoglienza

IL PASSAGGIO ALLA SCUOLA SUPERIORE: Il Progetto ’Accoglienza

L’inserimento alla scuola superiore costituisce un passaggio delicato, uno slalom tra curiosità e paura, un evento potenzialmente critico

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È ricominciata la scuola e per molti studenti c’è stato il passaggio alla scuola superiore, con tutte le problematiche che questo comporta.

Tanti stranieri, alcuni di seconda generazione, altri appena arrivati che non parlano l’italiano, a volte neanche lo capiscono. E’ una grande sfida per l’integrazione.

Gli istituti pubblicano la formazione delle classi sui loro siti e i ragazzi conoscono i nuovi compagni molto prima di incontrarli: li cercano sui social, si fanno un’idea dei volti che avranno e diventano amici di Facebook prima che compagni di classe, per lo meno quelli che hanno Facebook, cioè praticamente tutti.

Nonostante il vantaggio dei social, però, l’inserimento alla scuola superiore rimane un passaggio delicato, uno slalom tra curiosità e paura, un evento potenzialmente critico, in un periodo della vita considerato ad alto rischio per lo sviluppo di svariati quadri psicopatologici.

Sarebbe meglio che le cose iniziassero bene.

L’adolescente si trova inserito in un nuovo gruppo artificioso, la classe, imposto dagli adulti per motivi precisi, che rappresenterà per diverso tempo buona parte della sua realtà sociale, con dinamiche, problemi e potenzialità particolari, in grado di generare oscillazioni emotive intense, destabilizzanti.

Questo fattore di rischio spinge le Istituzioni alla ricerca di culture preventive mirate alla promozione della salute, salute intesa non come assenza di malattia ma come stato di benessere perpetuato attraverso lo sviluppo delle potenzialità personali e collettive, per esempio lo sviluppo di buone relazioni tra coetanei, con conseguente abbassamento del rischio di disagio.

Il liceo in cui lavoro è uno di questi istituti. Con l’obiettivo di favorire l’inserimento ha promosso il Progetto Accoglienza di cui mi occupo da diversi anni.

I Progetti Accoglienza prevedono un percorso di accompagnamento degli studenti del primo anno della scuola superiore, realizzato attraverso un gruppo di coetanei del quarto anno, preventivamente formati a questo scopo. A partire dal primo giorno di scuola e per alcuni giorni i primini vengono accolti in classe dai compagni più grandi che li stimolano e li sostengono nella conoscenza reciproca e nella costruzione del gruppo classe attraverso una serie di attività guidate, l’illustrazione delle novità della scuola superiore, la guida nel giro conoscitivo della scuola, ecc…

Il progetto Accoglienza utilizza strategie di Peer Education che si basano sull’importanza rappresentata dal rapporto con i pari nel periodo adolescenziale: l’adolescenza rappresenta un momento cruciale nel percorso di costruzione dell’identità personale, per i cambiamenti rapidi e vistosi che avvengono in questa fase e per la difficoltà a maneggiare le nuove capacità cognitive e riflessive e a gestire l’oscillazione tra spinta all’autonomia e mantenimento dell’attaccamento, il rapporto con i coetanei è uno dei pochi punti fermi.

La Peer Education è il risultato di un cambiamento epistemologico negli interventi di prevenzione e promozione della salute, avvenuto negli anni novanta. Prima c’era un esperto che insegnava e un alunno che passivamente riceveva. Il nuovo paradigma interviene nel gruppo attraverso alcuni suoi componenti, tiene conto cioè di alcuni aspetti importanti della rivoluzione adolescenziale: l’elemento centrale è la trasmissione orizzontale del sapere. Per essere in grado di governare il progressivo emergere del senso di solitudine epistemologica (Chandler 1975), l’adolescente deve continuamente porre il proprio senso di sé e della vita al centro della propria esperienza quotidiana: il nuovo paradigma considera l’adolescente proprio come soggetto attivo, in grado di costruire il proprio sviluppo e lo pone al centro degli interventi, in diritto di partecipare in modo attivo e consapevole alla propria formazione.

L’abbassamento dell’emotività consentito dall’esperienza dell’Accoglienza, favorisce l’inizio della reciprocità con i nuovi compagni e la costruzione del senso di appartenenza al nuovo gruppo. Si realizza così un modulo di prevenzione primaria che si basa sullo stare bene a scuola e consente di uscire dalla logica dell’emergenza che genera interventi solo di fronte a problematiche conclamate.

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Genitori vs insegnanti: nella guerra tra poveri a perdere sono i ragazzi

Genitori vs insegnanti: nella guerra tra poveri a perdere sono i ragazzi

Tra genitori e insegnanti lo studente ci rimetteimage

Inizia un nuovo anno scolastico, facciamolo partire bene. La fine dello scorso anno scolastico è rimasta impressa per gli episodi di inattesa violenza da parte di alcuni genitori verso gli insegnanti dei propri figli. Episodi ravvicinati, forse anche un po’ enfatizzati dai media, che comunque hanno fatto pensare a uno scontro generale, a una guerra in corso tra le due categorie. Se davvero ci fosse sarebbe una guerra tra poveri.

Da una parte c’è l’attribuzione totale alle famiglie, da parte della scuola, della responsabilità delle problematiche scolastiche di uno studente, dall’altra l’attribuzione totale agli insegnanti e alla scuola, da parte delle famiglie. Nessuna delle due posizioni evidentemente può essere considerata realistica. La famiglia ha il suo impatto nella costruzione della personalità dello studente, su questo non c’è dubbio, è stata dimostrata da più parti l’importanza della relazione con le figure di riferimento, genitori o loro sostituti, ma dobbiamo anche considerare che la scuola è un luogo in cui si trascorre molto tempo e per forza di cose vi si costruiscono rapporti significativi e perciò in grado di incidere sull’equilibrio o comunque sullo stato d’animo di uno studente.

La scuola ha il suo peso, in positivo e in negativo: può essere fonte di disagio se non si riesce a costruire rapporti che sostengono, può diventare anche una base sicura se invece ci si riesce, un luogo protetto in cui “rifugiarsi” se le relazioni in famiglia sono, stabilmente o temporaneamente, insicure. L’escalation di violenza tra genitori e insegnanti è allora la punta di un iceberg, il sintomo di una realtà da esplorare. Spesso l’episodio violento è alla fine di un percorso in cui uno o entrambi gli interlocutori hanno dato poco valore alle parole dell’altro, la fine di un periodo di reciproca sordità.

E mentre i due interlocutori litigano il terzo, lo studente, ci rimette. Sia l’insegnante che il genitore sentono messo in discussione il proprio ruolo e il proprio operato e non riescono a cogliere nella rivendicazione dell’altro la richiesta di collaborazione sul progetto educativo e formativo per lo studente.

Ho sentito dire che la scuola “non può sostituirsi per un ruolo (educativo) che non le compete”, io credo che nessuno, figura professionale o istituzione, che abbia a che fare con un bambino, un fanciullo o un ragazzo possa mai dire che il ruolo educativo non gli competa. Siamo tutti coinvolti. Che ci sia bisogno di un’alleanza educativa tra scuola e famiglia non c’è dubbio e si è tutti concordi su questo, il dubbio nasce su come debba essere costruita questa alleanza. Per i genitori sono gli insegnanti a doversi avvicinare agli studenti e alla famiglia, per gli insegnanti è il contrario e vorrebbero la complicità dei genitori a prescindere.

Ho assistito più volte a colloqui difficili tra insegnanti e genitori, i genitori hanno l’impressione che il proprio figlio venga perseguitato o non capito, gli insegnanti hanno l’impressione di doversi sempre difendere dalle accuse, ognuno si irrigidisce su una posizione difensiva. Se il dialogo non si ferma alle prime impressioni e incomprensioni si può arrivare a capirsi: quando il genitore capisce la buona fede dell’insegnante e/o l’insegnante capisce la richiesta di aiuto del genitore, lo scontro diventa velocemente collaborazione.

Oggi gli insegnanti devono argomentare e giustificare il loro giudizio su un alunno, non è più dato per buono di diritto. Secondo alcuni è perché “i genitori non accettano di avere figli asini”. Non credo che sia così, anche se a volte i genitori sopravvalutano le capacità dei figli penso che oggi non sia più possibile dividere semplicemente gli studenti in asini e bravi, le cose sono più complesse e probabilmente gli asini non esistono. Esistono ragazzi in difficoltà e trovare nella scuola e in un insegnante un punto di riferimento può fare la differenza. Nessuno studente è asino o bravo a priori, ma in relazione a tanti fattori tra cui la sua storia all’interno di quella specifica atmosfera familiare e il rapporto che costruisce nel tempo con gli insegnanti che incontra sulla sua strada…….

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Le problematiche scolastiche degli adolescenti immigrati

Le problematiche scolastiche degli adolescenti immigrati

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Quali sentimenti accompagnano gli adolescenti immigrati nei loro processi di integrazione?

Non Il fenomeno dell’immigrazione è in costante crescita nel nostro paese e la scuola superiore ormai accoglie immigrati di seconda generazione, ragazzi e ragazze figli di immigrati, nati in Italia o arrivati in Italia in tenera età. E’ facile imbattersi in ragazzi dai marcati tratti orientali o africani o sudamericani, che parlano con perfetto accento romano.

Accedono al Centro di Ascolto prevalentemente su pressione dagli insegnanti che vivono la difficoltà di aiutarli, come nel caso di Jian.

Jian ha 14 anni, ha concluso il primo anno di liceo, non è andato a vedere i quadri: è sicuro di non essere stato ammesso al secondo anno, ma non vuole vederlo scritto.

E’ nato a Roma ma i suoi genitori sono cinesi, a pochi mesi è stato mandato in Cina dai parenti perché i genitori, in Italia da molti anni, non potevano occuparsene, sono commercianti e lavorano entrambi tutto il giorno. Torna a Roma all’età di 6 anni.

Dopo qualche anno i genitori entrano in crisi, la casa diventa teatro di continui litigi in cui a volte il ragazzo è coinvolto, gli viene richiesto più o meno esplicitamente di schierarsi, ma Jian non sente nessuno dei due genitori come punto di riferimento: ha paura del padre che a volte alza le mani, e tiene a distanza la madre che quando litiga con il marito se la prende anche con Jian, non vuole nessuno dei due vicino.

Non ricorda molto del suo trascorso con i nonni, neanche il cinese, e non lo vuole imparare qui, i genitori parlano poco l’italiano, non hanno mai fatto niente per migliorarlo, se capitano discussioni ognuno parla nella lingua che conosce meglio.

Non è raro che adolescenti immigrati di seconda generazione ignorino la loro lingua madre e siano estranei, nello stesso tempo, al paese di origine e a quello di immigrazione.

Succede che l’adolescente immigrato vorrebbe integrarsi con la nuova cultura ma questo può provocare sentimenti di colpa per il desiderio di allontanarsi dalle tradizioni familiari e per il tradimento nei confronti dei genitori che hanno lasciato il loro paese, lavorano duramente per non far mancare nulla ai figli e cercano di mantenere le tradizioni culturali.

Per quanto riguarda Jian in verità lui si sente italiano, ma sente di non poter portare avanti questa identità e di non riuscire ad appartenere a nessun gruppo di italiani.

Jian ha brusche cadute dell’umore, frequenta la scuola in maniera discontinua, a volte è assente per giorni, non riesce a studiare e il suo rendimento scolastico lo conferma. Vorrebbe lasciare la scuola perché non sa per chi proseguirla, non ha un buon rapporto con i compagni, si sente ignorato, poco considerato, ha l’impressioni che gli altri non siano interessati a lui. Non condivide interessi con loro che di solito parlano di calcio, scuola e compiti, mentre lui è interessato ad altro. Evita di avvicinarsi per paura di essere respinto. Il sentimento di estraneità prevale. I compagni in verità non lo escludono, anzi vorrebbero coinvolgerlo, hanno provato più volte, l’aspettativa di Jian è massima e finisce che si esclude da solo.

Il suo percorso inizia in salita, con l’impossibilità di mantenere una continuità nella relazione di attaccamento, aspetto riconosciuto ormai come elemento di vulnerabilità del percorso evolutivo (Bowlby). Non poter costruire legami di attaccamento stabili nel primo periodo di vita esercita un ruolo sfavorevole sullo sviluppo della personalità. La consapevolezza di poter contare sulla protezione e il conforto della figura di attaccamento in caso di necessità, crea uno stato di sicurezza emotiva da cui è possibile partire per l’esplorazione del mondo esterno e del proprio mondo interno. Possiamo perciò immaginare quali conseguenze può avere il mancato consolidamento di un legame di attaccamento. Jian è stato qualche mese con i genitori, poi è stato mandato in Cina, e si ricongiunge con loro quando ormai è passato troppo tempo per ricostruire il vecchio legame, un attaccamento sostitutivo era stato probabilmente ricostruito con i parenti con cui ha vissuto nei primi anni e da cui è stato separato. Ha perciò dovuto affrontare due passaggi importanti. I suoi genitori, poi, sono tutt’altro che stabili, date le pressanti problematiche lavorative ed economiche, quando non di coppia, che devono quotidianamente affrontare.

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Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola

Uno Psicologo nella Scuola
Alpes Italia 2015Uno Psicologo nella Scuola
di Patrizia Mattioli
Editrice Alpes Italia
pp. 142 I° edizione Roma 2015
€ 13,00 ISBN 978886531-314-5
È uscito a gennaio il mio nuovo libro Uno Psicologo nella Scuola
E’ un libro che ho scritto per raccontare la scuola e l’esperienza di  venticinque anni di consulenza scolastica. Ė un libro che parla del lavoro dello psicologo, ma soprattutto è un libro che parla di scuola, dell’incontro di studenti adolescenti, insegnanti e genitori, delle dinamiche che si costruiscono, della difficoltà di trovare un linguaggio comune. È rivolto a tutti i protagonisti della scuola, ma soprattutto a genitori e insegnanti,. Attraverso le storie e le esperienze raccontate il libro vuole fornire strumenti utili ad avvicinarsi e comprendersi reciprocamente, oltre ad avvicinare e comprendere il complicato e delicato mondo scolastico adolescenziale.
La scuola è una rete di relazioni dove studenti, insegnanti e genitori si incontrano e incrociano i propri modi di essere. Da questo incontro nasce un significato comune che offre ad ognuno un’immagine di sé che non può più prescindere dagli altri, un’identità scolastica che definisce per ognuno il suo sentirsi o non sentirsi parte di quella comunità.
La Scuola è uno scorrere parallelo e simultaneo di momenti di vita che continuamente riverberano gli uni con gli altri creando contrasti che rappresentano allo stesso tempo momenti di crisi che possono diventare momenti di crescita .
Sono importanti le storie personali dei ragazzi, dei genitori, degli insegnanti perché è attraverso le storie che si riesce a comprendere la coerenza di una crisi ed è possibile trasformarla in crescita.

Il libro si compone di due parti. Nella prima parte vengono affrontati gli aspetti teorici sia per quanto riguarda le norme che regolano la presenza dello psicologo a scuola e il ruolo che ne emerge, sia per quanto riguarda l’approccio teorico di riferimento che guida chi scrive. Viene illustrato il modello cognitivista post razionalista e la sua applicazione alle dinamiche scolastiche, con una parentesi sui vissuti dei protagonisti della scuola e uno ampio spazio dedicato alla lettura post razionalista del percorso adolescenziale.
La seconda parte è dedicata alle diverse esperienze che la presenza a scuola consente allo psicologo: la consulenza, l’approccio alle emergenze relazionali, la formazione dei gruppi di tutor per l’Accoglienza, i sondaggi conoscitivi, gli incontri a tema e le giornate di approfondimento. Tutti gli spazi raccontano le strategie utilizzate e nello stesso tempo sono un pretesto per l’approfondimento di temi adolescenziali.

Il libro è disponibile su Amazon e su tutte le librerie online e ordinabile presso qualsiasi libreria

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